SFOGLIA LA GALLERY DEL VIAGGIO
Siamo partite in 3: due volontarie Auser, io e Mirella (la Presidente) e Rosa Taschin, ideatrice del progetto “Amici di Lourène”.
La prima tappa del viaggio è stata Dakar, ma all’andata ci siamo fermate appena mezz’ora, la stessa notte, infatti, siamo andate a Mbour, dove ci siamo fermate due giorni e dove abbiamo avuto modo di prendere interessanti contatti, anche in vista della messa in opera, in futuro, di progetti e collaborazioni interessanti, nonché di conoscere persone, che poi ci hanno accompagnate durante il resto del viaggio, come l’uomo che ci ha fatto da autista e da guardia del corpo e che è stato fondamentale per noi, la nostra traduttrice, che era una delle nostre volontarie in Italia, ritrasferita in Senegal e ci ha fatto da accompagnatrice, un ragazzo, progettista, che si è successivamente occupato di riscrivere il progetto di Lourène in maniera più organizzata, dato che fin’ora, è stato fatto tutto in forma molto amicale, così come suggerisce il nome dell’Associazione che ha fatto partire tutto, insomma un bel numero di persone meravigliose.
A Mbour abbiamo avuto modo di vedere realtà particolari, come il porto (che non è un porto, ma è la battigia della spiaggia) dove abbiamo assistito al rientro dei pescatori; alcuni di loro stanno fuori per un mese intero, altri invece vanno e vengono in giornata. Abbiamo toccato con mano una realtà di vita completamente diversa dalla nostra. Si lavora ancora a cottimo, in condizioni igieniche e di sicurezza praticamente inesistenti; ci sono masse di persone che lavorano, sì, su un buon pescato, ma, in ogni caso, su una quantità di pesce irrisoria rispetto a quello che potrebbe fare un semplice peschereccio; loro pescano con le piroghe che, anche se sono enormi e bellissime da vedere, rimangono comunque delle piroghe e pescano con le reti, dunque con un sistema ancora abbastanza arretrato.
Dopo Mbour ci siamo fermate un paio d’ore a Saint Louis, l’antica capitale del Senegal; anche qui siamo andate a vedere i pescatori, sull’oceano, un’esperienza bellissima e poi abbiamo proseguito fino a Lago Rosa, dove abbiamo visto un’altra realtà, quella del lavoro femminile. Anche le donne di Lago Rosa lavorano a cottimo, una conchiglia per ogni trasporto di sale, che poi viene tradotta in moneta a fine giornata. Io, ai primi mesi di gravidanza, non riuscivo a capacitarmi di assistere alla scena di una donna con un pancione ben più avanti del mio, che trasportava il sale in testa in quel caldo assurdo! Non è un’immagine che mi toglierò facilmente dalla mente.
Da Lago Rosa siamo andati a Somone, una località turistica, un posto veramente bellissimo, dove abbiamo visto i raccoglitori e le allevatrici di cozze; donne che coltivano 20 o 50 cozze a testa e cercano di venderle ai turisti, discutendo tra loro su chi abbia la precedenza, perché la più anziana ha diritto di vendere prima della più giovane, ma magari la giovane quel giorno non ha ancora venduto nulla e allora non la prende bene, magari quel giorno sono passati pochi turisti.
Da Somone ci siamo finalmente diretti a Lourène e il viaggio è stato davvero lunghissimo. Grazie alla famiglia di uno dei nostri collaboratori a Ravenna, abbiamo avuto a disposizione una vettura 4×4, 7 posti, che ci ha reso il viaggio veramente molto agevole. In ogni caso ci sono volute qualcosa come 12 ore per raggiungere la nostra destinazione. A poche decine di chilometri da Lourène si può dire che abbiamo abbandonato completamente la civiltà, nel senso che siamo passate da situazioni che erano, sì, al limite della povertà, perché più si saliva verso nord e più la situazione si dimostrava tragica da questo punto di vista, ma si trattava pur sempre di villaggi con la luce, con l’acqua, con le strade così come le conosciamo noi, ma quando siamo arrivati al villaggio di Dioum, ci sono venuti incontro con una moto che, da lì in avanti, ci ha guidati per una strada che non era più una strada, attraverso una pista che non può essere definita una pista, perché non è segnalata da nessuna parte, in mezzo al niente, alla campagna, alla savana, immersi nella natura. Non ho idea di quanti chilometri possiamo aver percorso, non son quantificabili, è lì che io ho scoperto di non avere le misure in testa.
Siamo arrivate in questo villaggio di capanne dove le costruzioni in mattoni sono tre: le due scuole (due aule minuscole), una costruita dallo Stato e una grazie al nostro contributo, e la prima costruzione di pietra del villaggio, dove siamo state ospitate noi, dormendo sotto le stelle. Ad accoglierci una folla festante di bambini, donne e uomini che ci avevano aspettato per tutto il giorno, perché nessuno sapeva a che ora saremmo arrivate; c’era anche chi era arrivato dai villaggi vicini, che significa da 20 km di distanza, a piedi o col carro trainato dai cavalli. Si sono subito preoccupati di metterci a disposizione una doccia (un box di mattoni con un secchio d’acqua che ci dovevamo rovesciare addosso) e di farci riposare.
Il giorno seguente abbiamo incontrato le autorità locali, visitato il villaggio e hanno sacrificato, per noi, una mucca, l’animale più magro che abbia mai visto in vita mia, ma è stato un regalo immenso. Se prima di partire mi sembrava una cosa quasi assurda che servisse un recinto per la scuola, arrivata là mi sono invece resa subito conto di quanto sia necessario: la costruzione è di mattoni grezzi, senza intonaco e gli animali, che non sono abituati alle costruzioni in mattoni, assaltano letteralmente i muri, creando danni non indifferenti. I bambini, a Lourène, vivono una situazione decisamente migliore rispetto ai loro coetanei in città, dove sono abbandonati a se stessi (a parte quelli che godono di una certa fortuna economica), tuttavia lavorano fin da piccoli; abbiamo dovuto minacciare di non portare altri finanziamenti a meno che ai bambini non venga data la concreta possibilità di seguire le lezioni a scuola.
Durante la visita siamo rimaste particolarmente colpite dal pozzo, l’acqua, da una profondità di 27 metri, viene raccolta da un secchio, con una corda che per essere issata a mano ha bisogno della forza di almeno di tre donne contemporaneamente; ce ne siamo andate con la promessa che il prossimo progetto sarà la donazione di una pompa per l’acqua che permetta l’installazione di un rubinetto.
La tappa successiva è stata Kébémer, dove ci siamo fermate un paio di giorno e abbiamo continuato a intessere contatti per il futuro. Da qui siamo tornati a Dakar dove ci siamo fermati fino alla ripartenza, anche qui altri incontri e visita alla città. Un’altro aspetto che ci ha colpite molto sono state le condizioni di lavoro dei lavoratori del legno della città, a dir poco difficili.
Durante il viaggio ci siamo imbattute nella storia di Mohammed, un bimbo abbandonato, a pochi giorni di vita, in una macchina, successivamente affidato dalla polizia a una donna che aveva già figli grandi e che fa parte del credito mutuale, una donna meravigliosa che se ne occupa con tanto amore, ma senza nessun sostegno, perché qui non esistono assistenza sociale o sostegno statale ai genitori affidatari; ecco perchè Auser Ravenna ha deciso di adottare a distanza questo bambino, garantendo 50 Euro ogni due mesi per i primi 10 anni di vita del bambino.
Siamo rientrate in Italia felici ed entusiaste, abbiamo incontrato tantissime persone, non abbiamo pagato un solo giorno d’albergo perché siamo state sempre ospitate, ci hanno trattato tutti benissimo, hanno diviso con noi ogni cosa, in ogni modo possibile, è stato bellissimo e illuminante, sicuramente da ripetere.