Mercoledì 22 febbraio 2017, presso l’Hotel Cube di Ravenna, si è tenuto il Congresso Auser Territoriale Ravenna, nell’ambito degli incontri per il IX Congresso Nazionale Auser, dal titolo “Insieme Sempre più forti. La cittadinanza non ha età”.
Il Congresso di Ravenna è stato aperto da un toccante discorso di Michele De Pascale, Sindaco di Ravenna e Presidente della Provincia di Ravenna.
Subito dopo ha parlato la Presidente Mirella Rossi.
Poi è stata la volta della TAVOLA ROTONDA “Volontariato a tutte le età per passione, per motivazioni personali e collettive, per restituire alla comunità ciò che si riceve”
Coordinata da Deborah Ugolini (Ufficio Stampa Auser Ravenna), a cui hanno partecipato Mirco Bagnari (Consigliere regionale, commissione politiche per la salute e sociali), Valentina Morigi (Assessora a bilancio, partecipazione, servizi sociali, casa, politiche giovanili e immigrazione del Comune di Ravenna), Eleonora Proni (Sindaco di Bagnacavallo, Responsabile di Politiche socio-sanitarie, Immigrazione e Progetto Riorganizzazione A.S.P. per l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna), Maria Luisa Martinez (Consigliera Provinciale con delega in materia di Pubblica Istruzione ed Edilizia Scolastica), Costantino Ricci (Segretario Generale CGIL Ravenna) e Marica Guiducci (Presidenza Nazionale Auser)
Sergio Frattini
Abbiamo adesso la tavola rotonda, quindi inviterei i nostri graditissimi ospiti a prendere posto, che sono Mirco Bagnari, che è consigliere regionale, commissione regionale per le politiche per la salute e sociali, Valentina Morigi, assessora al bilancio, partecipazione, servizi sociali, casa, politiche giovanili e immigrazione del Comune di Ravenna, Eleonora Proni, sindaco di Bagnacavallo, responsabile delle politiche sociosanitarie, immigrazione, progetto riorganizzazione ASP per l’Unione dei comuni della Bassa Romagna, Maria Luisa Martinez, consigliera provinciale con deleghe in materia di pubblica istruzione e di edilizia scolastica , Costantino Ricci, Segretario generale della CGIL di Ravenna, Marica Guiducci, presidenza nazionale Auser. Questa è la compagine dei nostri graditissimi ospiti che io ringrazio per la loro presenza, per le cose che ci diranno, per il contributo attorno alle tematiche che ci coinvolgono. Presiede questa tavola rotonda Deborah Ugolini che è la nostra collaboratrice dell’ufficio stampa di Auser Ravenna a cui lascio il microfono.
Deborah Ugolini – Ufficio Stampa Auser Ravenna
Voglio dare il benvenuto e ringraziare tutti gli ospiti che hanno scelto di partecipare a questa tavola rotonda, una tavola rotonda che parte dall’idea, come diceva Mirella, forse anche un po’ provocatoria, di aprire il volontariato a tutti, a tutte le età.
Auser si è caratterizzata fin dalla sua fondazione per voler rivalutare soprattutto il ruolo di persone diciamo avanti con l’età, non mi vien più da dire anziani perché ho visto una grinta che difficilmente si trova tra i giovani, quindi è una parola che non usiamo, diciamo persone grandi, più adulte, che però, uscite magari dal mondo del lavoro, avevano ancora moltissimo da dare.
Ci sono altre categorie di persone che magari non appartengono al mondo del lavoro, come possono essere ragazzi giovani, che hanno molto da dare, ma che potrebbero tanto imparare dai volontari di Auser e dal volontariato. Ci sono persone, soprattutto in un contesto di crisi come quello che stiamo vivendo in questo momento, che hanno bisogno e quindi vengono assistite dalla comunità con assegni di disoccupazione o altri mezzi che possano permettere loro di sostenersi e anche loro magari avrebbero qualcosa da dare. Abbiamo un problema di integrazione per quanto riguarda, anche di questo si è già parlato questa mattina, i richiedenti asilo o le persone che per fame, per paura, per necessità, lasciano le proprie case e decidono di andare a cercare un futuro migliore altrove e l’integrazione, è stato già dimostrato e comunque l’idea mi sembra che stia venendo fuori da più parti ultimamente, potrebbe passare anche per il volontariato. Oggi parleremo di questo.
Sono tre i temi per cui darò la parola ad ognuno dei nostri ospiti, tre domande sulla possibilità di aprire il volontariato al servizio civile, di aprire il volontariato ai giovani, con la possibilità di utilizzare, anche le associazioni di volontariato, i crediti formativi, lo strumento dello stage, è già previsto tra l’altro dalle leggi che esistono, quindi credo che sarebbe un passo più che naturale e poi, discussione quantomai attuale, la possibilità di aprire il volontariato ai richiedenti asilo, cosa che sicuramente farebbe sentire meglio loro, farebbe sentire meglio noi e, come ha fatto dove è stato fatto, ridurrebbe tantissimo la paura.
Comincerei dall’argomento, previsto dalla legge quadro sul volontariato promossa dal Forum del Terzo Settore, che dovrebbe essere stata sdoganata proprio in questi giorni, del servizio civile.
Valentina Morigi – Assessora a bilancio, partecipazione, servizi sociali, casa, politiche giovanili e immigrazione del Comune di Ravenna
Buongiorno a tutte e a tutti, noi ci siamo conosciuti nel precedente mandato e ho portato i saluti anche nel precedente congresso con un’altra giacca, avevo la delega al decentramento.
È un piacere rivedervi, è un piacere essere qui con voi, vedo che siete sempre numerosi, che la tempra non manca e il lavoro che Auser svolge sul territorio ha incrementato il numero delle attività e dei volontari nel corso del tempo.
Volevo ringraziare anche Mirella, che è sempre presente e disponibile al dialogo con la nostra amministrazione e alla costruzione e individuazione di nuove strade, oggi che invece pare che le strade sia molto più semplice chiuderle e che costruire muri sia più facile che costruire ponti di comunicazione, quindi un alleato prezioso anche nella costruzione di una cultura del volontariato e credo che proprio il tema della legge regionale cui facevi riferimento tu e dell’impegno rispetto al servizio civile, vada nella direzione di contribuire a costruire un’altra cultura di impegno nella comunità. Noi peraltro abbiamo appena riassemblato, anche all’interno dell’Amministrazione, in un processo di riorganizzazione, in un unico ufficio, di tutta la partita che riguarda il servizio civile.
L’idea è proprio quella di aprire non solo alle attività, anche inedite, che non sono state programmate nel territorio, che non erano svolte, ma di contribuire a promuovere maggiormente questa opportunità, facendo leva su un bacino fondamentale che è quello delle organizzazioni del volontariato, e questa, ovviamente, è una richiesta che facciamo in questa sede, che dovrà essere estesa alle altre organizzazioni di volontariato del territorio, è un’opportunità per contribuire a tramandare un valore che si sta perdendo, perché, come veniva correttamente detto, il volontariato, l’impegno nella comunità, anche attraverso azioni di prossimità, di vicinato, è un valore che si sta un po’ perdendo e sul quale è necessario lavorare, ma su questo ci concentreremo nel prossimo passaggio.
Il servizio civile diventa quella chiave di volta che ti consente di mettere in relazione le giovani generazioni, il tessuto del volontariato nel territorio e la pubblica amministrazione che deve organizzare e promuovere sempre di più questa come chiave di collegamento e di comunità e di costruzione di tessuto di comunità.
Quindi noi ci siamo e siamo ben felici che l’orientamento della normativa pronunci parole molto chiare in questo senso, siamo pronti ad attivarci insieme a voi.
Eleonora Proni – Sindaca di Bagnacavallo, Responsabile di Politiche socio-sanitarie, Immigrazione e Prog. Riorganizzazione ASP per l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna
Condivido le premesse dell’intervento di Valentina, quindi non sto a ripetere i ringraziamenti e l’apprezzamento per il lavoro importante che svolgete e che la relazione di Mirella ha restituito facendo lo spaccato di quelli che sono non soltanto i servizi presenti in questo territorio, ma proprio i bisogni e le possibilità che ci sono, nella sintesi di un lavoro veramente denso di contenuti, di ricchezza, di problematiche, ma anche veramente di potenziale che c’è sul territorio.
Raccogliendo un po’ il testimone da Valentina, che è quello di tenere insieme le relazioni, le generazioni in questo caso, mentre ascoltavo la relazione, ma anche il saluto del Sindaco De Pascale, mi viene da restituire quella che forse è una fotografia, ma anche un bisogno di analisi, ovvero il rischio di frammentazione che è presente nel nostro tempo e nel nostro territorio, frammentazione che porta con se da un lato il rischio dell’individualismo, quindi della chiusura in noi stessi e dall’altro quello della generazione di conflitti tra territori, tra parti del mondo; quindi si tengono insieme tutte le questioni che hai posto, conflitti che sono economici, tra chi ha e chi non ha, tra chi ha possibilità e chi ne ha meno, conflitti tra popoli, tra chi è residente o meno, il secondo tema che toccheremo e conflitti tra generazioni.
Io credo che la sfida sia proprio quella di cercare di allacciare, riallacciare, inventarsi nuove modalità di relazione tra diversi, nel senso più alto del termine e credo anch’io, e ce lo restituisce un po’ anche quello che succede fuori da noi, che il tema del rischio del conflitto, della separatezza, della divisione, dell’allontanamento, della non conoscenza generazionale, sia sicuramente uno di quelli più forti; qui il servizio pubblico deve fare molto, probabilmente deve fare anche di più, perché nell’emergenza, rispetto alla messa in fila delle cose, il tema dei giovani, anche nei capitoli di spesa, rischia sempre di essere quello un pochino mortificato, poi non si capisce mai se è la parte della prevenzione di cui ti devi fare carico o della riparazione, oppure dell’aspetto più ricreativo; io credo che entrambi gli aspetti siano importanti e su questo l’esperienza di progettualità che i giovani possono fare con il servizio pubblico, ma attraverso una relazione con il mondo del volontariato sia veramente la chiave di svolta.
La presa in carico tra generazioni di problematiche che sono apparentemente diverse, ma non lo sono, sono sguardi diversi, è una complessità che si teme. Su questo io credo che il ruolo del volontariato sia veramente dirimente, perché la presa in carico di una progettualità che deve essere arricchente, deve andare incontro a quelle che sono le potenzialità e i bisogni dei ragazzi, permette anche al servizio e alle istituzioni di capire di più.
È un po’ tutto il tema della relazione tra il pubblico e il volontariato, bisogna proprio abbandonare il pensiero che, visto che il pubblico non si basta più, allora c’è il volontariato; non è questo e voi l’avete superato e dimostrato da tempo; è proprio la presa in carico di un percorso, di una costruzione di una relazione che si tiene insieme e tende a difendere quelli che sono i beni comuni e pensare al bene comune, una cosa che è di tutti e che va curata, gestita con cura, che dev’essere trasmessa perché non è la nostra ed è questo che parla ai giovani.
Il servizio civile, ma non solo, è uno di quegli strumenti, una di quelle cose che nel tempo si era un po’ lasciata e non va ripresa con un aspetto nostalgico, ma va proprio reinventata e credo anch’io che quella in cui ci troviamo, sia una fase dove ci sono tanti rischi, ma c’è anche uno spazio, che si sta costruendo, di nuove opportunità, quindi è una sfida, un obiettivo sfidante, ma sul quale secondo me possiamo, insieme, cogliere importanti risultati.
Marica Guiducci – Presidenza Nazionale Auser
Io intanto vorrei ringraziare tutti i presenti, i volontari, gli associati all’Auser che in questi anni hanno fatto un lavoro straordinario, Mirella Rossi lo raccontava nella sua relazione, ma davvero i risultati li vediamo tutti i giorni nel miglioramento della nostra comunità e anche nel rapporto importante che abbiamo stabilito con le istituzioni locali, con l’ente locale, ma mi pare anche con le scuole e con tanti altri aspetti della realtà locale.
Per stare al tema della domanda, l’Auser ha da sempre investito nel servizio civile, come una vocazione, una vocazione che è stata riconosciuta in questi anni. Noi siamo tra i soci fondatori di Arci Servizio Civile, nel 2001, che è l’ente principale per la gestione dei rapporti tra le associazioni e la presidenza del consiglio, dove c’è appunto, l’ufficio nazionale del servizio civile.
Parlo di vocazione perché per noi il rapporto intergenerazionale è parte del nostro DNA. Tante delle nostre attività si sono basate, in questi anni, nel dialogo tra generazioni, noi parliamo dell’invecchiamento come di un’età della vita, un’età della vita che si apre al dialogo non solo culturale, ma anche generazionale e il servizio civile, per queste ragioni, per noi è stato importante in questi anni, ma anche per un’altra ragione, per il tema della partecipazione.
Per l’Auser la partecipazione è un metodo, è il tema della cittadinanza attiva, è il modo in cui noi facciamo le cose, è il modo in cui noi coinvolgiamo i nostri cittadini, allargare gli spazi di partecipazione pubblica, la democrazia, i luoghi dove le persone possono vantare ed esigere i propri diritti, essere sempre più coinvolte nelle decisioni che li riguardano e costruire sin da giovani questo percorso importantissimo. Per questo è importante e ci siamo impegnati, perché crescere un giovane nel servizio civile non è un’esperienza sempre facile, bisogna metterci impegno, dedicarsi.
L’Auser in tutta Italia ha molti progetti, ogni anno con noi fanno questa esperienza circa 80mila ragazzi, qualche anno di più qualche anno di meno, e molto è dipeso dai finanziamenti. Finalmente quest’anno c’è stato un riconoscimento. Il primo decreto attuativo andato in porto, nell’ambito della riforma del Terzo Settore, è stato proprio quello riguardante il servizio civile e non vi nascondo che c’è un certo orgoglio da parte nostra perché ci siamo impegnati tanto.
Ci siamo impegnati tanto, in tutte le sedi possibile, nel dialogo con le istituzioni, ma anche nelle sedi di mobilitazione, a creare questa cultura e arrivare a questo grande successo. Oggi noi potremo contare sul Servizio Civile Universale.
Il Servizio Civile Universale dovrà dare degli stanziamenti certi, poi, guardiamoci negli occhi, nel nostro Paese purtroppo quasi nulla è certo, non sono certi i diritti, spesso dobbiamo continuare ad esigerli giorno per giorno con la nostra presenza, con la nostra forza, con il nostro coraggio, la nostra partecipazione, spesso non sono certe le legislature, non sono certe le leggi, però noi ci crediamo, abbiamo investito, quest’anno finalmente noi avremo il Servizio Civile Universale che avrà un finanziamento stabile, strutturale, su tutto il territorio nazionale, non soltanto regionale, per 100mila giovani del servizio civile.
Allora, noi quest’anno, nel nostro congresso, Mirella lo diceva, vogliamo rilanciare la vocazione al volontariato, perché crediamo davvero che il volontariato, non solo sia importante per la comunità, per la democrazia, per il Paese, ma che il volontariato sia importante anche per le persone. Il volontariato è quella cosa che ti fa andare oltre te stesso, è l’incontro con l’altro da te, è quel momento di generosità che però rinvigorisce l’animo, fa crescere culturalmente, fa crescere nelle relazioni e per questo noi investiamo, e vogliamo sempre più investire, in progetti importanti, in progetti in cui le persone possano rispecchiarsi, perché anche questo è importante, il progetto deve saper dare gratificazione al volontario, dev’essere attrattivo, dev’essere un progetto che dipinge un mondo, un mondo fatto di valori e di ideale.
E allora, ritorno al servizio civile, quando faremo i nostri progetti, cerchiamo di fare progetti a rete, noi ne abbiamo tanti per l’Italia e quelli che hanno più successo sono quelli che comunicano su un territorio, per cui si riesce a dare continuità nel tempo al servizio civile, in un progetto che non si esaurisce in un momento, in un progetto estemporaneo, ma che riesce a investire nel futuro e i giovani sono quella continuità di curiosità, di punto di vista, che serve a far avanzare anche con un occhio moderno, attuale, la nostra associazione.
Maria Luisa Martinez – Consigliera Provinciale con delega in materia di Pubblica Istruzione ed Edilizia Scolastica
Buongiorno a tutti, io ringrazio per l’invito che mi è stato fatto. Quando mi è stato fatto questo invito, avete visto anche sul programma “consigliere delegato all’istruzione e all’edilizia scolastica”, mi sono chiesta perché, è una domanda che mi è venuta spontanea, e allora come diceva prima Valentina Morigi, ho cambiato giacca. Io che di giacche, nella mia vita, ne ho cambiate tante, ma sempre legate allo stesso tipo di mondo, mi sono tolta la giacca del consigliere delegato e me ne sono messa un’altra, che è quella che mi ha vista in tutti questi anni, prima docente, poi dirigente scolastico, poi provveditore, non ultimo Ravenna e Bologna, Ravenna è stata sempre nel mio cuore, quindi nel mio percorso di provveditore agli studi sono passata subito da Ravenna e pur avendo cambiato altre sedi a Ravenna ci sono voluta sempre essere, e allora con questa giacca, tenuto conto del tema, mi ci sono ritrovata, perché come edilizia scolastica mi sentivo stretta, come offerta formativa sul territorio altrettanto, ma come persona che per 44 anni è stata vicino ai giovani e con i giovani ha lavorato, mi ci sono trovata direttamente.
E devo dire che con il volontariato, quand’ero dirigente scolastica in quel di Faenza, parlo di ultima parte del secolo scorso, inizio di questo, io ci ho lavorato molto e proprio per far entrare nel mio istituto esperti del volontariato. Molti giovani a quel volontariato, non di Auser o non solo di Auser, ma anche di Mani Tese, Matogrosso, tutto quello che si poteva fare come tipi di esperienze, si sono avvicinati, l’hanno sposato e hanno fatto anche esperienze bellissime, andando anche di persona in paesi con difficoltà.
Poi mi sono domandata, ed è stata la domanda che mi ha spinto a cambiare la giacca, che cosa facciamo noi per i giovani. Gli obiettivi nostri sono quelli di farne dei diplomati, ma l’obiettivo principale è quello di farne dei cittadini consapevoli ed essere cittadini consapevoli vuol dire avere la consapevolezza di sé, dell’altro e riuscire a coniugare queste due cose insieme in un percorso di cittadinanza attiva; la cittadinanza è attiva e per renderla attiva dev’essere partecipata e vissuta. Allora gli obiettivi nostri, come scuola, sono gli obiettivi vostri, non siamo su fronti diversi, su barricate diverse o su tavoli diversi, l’obiettivo è il giovane, poi diventerà anche adulto, poi andrà in pensione e farà volontariato da pensionato, ma se non abbiamo messo i semi nel giovane di tutto questo quel giovane non sarà un adulto consapevole, non sarà un adulto che è capace di fare volontariato e di dedicarsi agli altri.
I giovani sono vicino al volontariato, sta crescendo notevolmente la loro partecipazione. L’obiettivo della scuola è quello di imparare a essere se stessi, a essere consapevoli, a fare delle scelte consapevoli, permettere di guardare gli altri con occhi diversi. Il volontariato è la terza mano, dopo la famiglia e la scuola, che in sinergia con le altre farà di questo giovane una persona che recita sul palcoscenico della vita, che non sta fermo a guardare. La grossa preoccupazione è relativa a quei giovani che stanno fermi a guardare, che stanno un certo numero di ore chiusi nel loro mondo, non per niente quest’anno è il primo anno della campagna di comunicazione nazionale “Un Nodo Blu” contro bullismo e cyberbullismo.
I giovani stanno molto soli, dobbiamo abituarli al dialogo, gli obiettivi maggiori sono quelli di far sì che i giovani vivano in comunità e avvicinarli al volontariato vuol dire avvicinarli a questo. Nel momento in cui formiamo questi giovani verso questo tipo di consapevolezza, avvicinarsi al servizio civile è un passo non dovuto, ma indispensabile per loro, non imposto, ma veramente desiderato, dove il servizio civile è verso l’altro, ma l’altro è inteso come tutto; non dimentichiamoci che c’è la persona, ma ci sono anche la città, i beni della città, le attività che si possono fare e non solo per quei pochi soldi che gli possono arrivare, ma soprattutto per quella gratificazione personale, per quella tranquillità personale, quella sicurezza di sé che poi viene riversata chiaramente nel tessuto sociale, per cui il volontariato, l’impegno civile, con gli altri due temi che ci verranno posti dopo, sono in continua sinergia.
E allora io dico, come scuola, porte aperte al volontariato, perché è il nostro aiuto continuo, in un mondo dove tra l’altro, anche per la scuola, le risorse non sono poi così infinite e darci una mano in questo senso, per i nostri giovani, mi sembra che sia indispensabile.
Costantino Ricci – Segretario Generale CGIL Ravenna
Quando ho chiesto a Mirella se si sentiva di intraprendere questa avventura, Mirella è sempre generosa e ha accettato, con tutti i suoi dubbi, poi nel corso del tempo ci son stati momenti anche critici, difficili, che abbiamo cercato di superare assieme, lei col suo lavoro e io con le parole che potevo darle e il sostegno della CGIL. Oggi devo dire che sono orgoglioso per lei di quello che ha fatto, ma sono orgoglioso anche per la CGIL di avere scelto Mirella per portare avanti questo nuovo percorso di Auser e quindi di averla messa a disposizione di tutto questo mondo del volontariato che è importantissimo.
Dico questo perché parlare di volontariato, a mio avviso, vuol dire parlare di valori, ideali, solidarietà, partecipazione, allargamento degli spazi democratici, vuol dire parlare di un pezzo della nostra società e un pezzo dei valori della nostra società.
Spero che i decreti attuativi vadano nella direzione di lasciare più da parte l’impresa sociale, per costruirne nel volontariato, e penso che Auser sia in grado di dare qualcosa anche attraverso il servizio civile, se è comunità, che è valore, se è socialità, perché se è un’altra cosa diventa complicato o diventa difficile.
Io penso che sia un traguardo importante, un percorso importante, però sempre di più bisogna che riflettiamo anche sul valore del volontariato e sull’apporto che il volontariato può dare alla società, tenendo sempre una distinzione, perché sennò il volontariato muore. Il volontariato non può sostituirsi alla pubblica amministrazione, non può sostituirsi al lavoro che dev’essere fatto; il volontariato è sussidiarietà, può essere foriero di costruire percorsi ancora migliori, di stare vicino alle proprie comunità, ai cittadini, però questa distinzione deve sempre essere fatta perché il rischio è che il volontariato poi muoia, perché il volontario è disposto a dare, è disposto a costruire, è disposto ad impegnarsi, però se c’è una rete attorno di servizi di qualità.
E quindi, quando in un Paese dove si rischia sempre la divisione, di mettere gli uni contro gli altri, i giovani contro gli anziani, i volontari contro l’occupazione, qualche preoccupazione mi viene, perché conosco il valore del volontariato, ma soprattutto conosco il valore del volontariato di Auser, che non è un volontariato compassionevole, è un volontariato attivo, che vuole costruire, che vuole fare uscire dall’isolamento le persone, che vuole dare un sostegno, che vuole costruire con la comunità una ricchezza che vede indotto.
Io penso che questa strada possa essere percorsa anche con il servizio civile e soprattutto con l’apertura ai giovani, soprattutto nel fare comprendere, questo è il grande messaggio che anche il volontariato deve dare, che non c’è una frattura generazionale, che si può convivere i giovani con gli anziani, si può convivere con chi ha meno e costruire.
Quando parliamo di giovani, però, noi dobbiamo farli diventare persone consapevoli, ma dobbiamo anche dar loro una prospettiva di futuro, perché altrimenti avremo delle persone consapevoli, che però nella società vedono una frattura e se vedono una frattura allora sì che è difficile costruire quella solidarietà tra generazioni che ha bisogno di essere portata avanti.
Il volontariato è l’esercizio di spazi di democrazia e questo è un valore che dev’essere preservato veramente come l’oro.
Mirco Bagnari – Consigliere regionale, commissione politiche per la salute e sociali
Io partirei un po’ dalle considerazioni che ha fatto Costantino e partirei con una battuta: noi siamo abituati a pensare al volontario, a chi fa volontariato, come “l’umarell”, cioè la persona di una certa età che oltre a sbirciare il cantiere, a controllare i lavori e criticare bonariamente proponendo la propria alternativa, è anche il primo disponibile a buttarsi perché ha tempo, perché ha esperienza; questo è importantissimo, il ruolo di “umarell” è fondamentale, nel controllo sociale, quello che si fa grazie alla consapevolezza diffusa di avere tutti un ruolo nella società, al di là delle battute è importante; però è ancora più importante il tema del lavoro intergenerazionale.
Quello che può fare il servizio civile da questo punto di vista è fondamentale, perché aiuta a un lato a creare anche una cultura e a fare esperienze che possono essere utili, un domani, anche nel mondo del lavoro, e io questo aspetto non lo metto mai in secondo piano, e contemporaneamente si fa un’esperienza prendendosi cura del sociale, del pubblico, dei beni culturali, di tutto ciò che è patrimonio pubblico, quindi in questo quello di cui si prende cura il volontariato è perfettamente coerente.
Poi c’è il tema della diffusione della cultura del volontariato e secondo me noi dovremmo provare proprio a spingere su questo fronte; la Regione vuole lavorare su questo e credo che sia interessante cercare un confronto con le associazioni come Auser, per l’esperienza, il radicamento sul territorio, proprio per lavorare su un filone che secondo me rappresenta il domani. Non lo dico come slogan, ma secondo me, proprio perché dovremmo porci in generale il tema del come migliorare un po’ la nostra società, questo diventa fondamentale, perché intanto come diceva Costantino prima, bisogna creare degli spazi di democrazia; io allargo il tema e dico che bisogna creare una cultura della democrazia che poi, oltre all’esperienza che uno fa, nel momento in cui fa il volontario, si porta dietro e condivide anche con le altre persone.
Noi a livello regionale possiamo fare la nostra parte, nel senso che come sapete c’è un servizio civile nazionale che consente anche di fare delle esperienze a livello internazionale, c’è il servizio civile regionale che con la Legge n. 20 del 2003 regola questo mondo, che si può saldare anche con tutto il tanto discusso tema di Garanzia Giovani, che secondo me rappresenta un’opportunità, ma ovviamente ha mostrato anche una serie di lacune che vanno migliorate e che però appunto sono importanti come filoni esperienziali, perché consentono ai giovani di fare qualche cosa che apre una piccola finestra sul futuro. Ma il futuro dei giovani noi dobbiamo costruirlo non solo con le esperienze di servizio civile, ma come diceva anche Costantino prima, con tutta una serie di politiche collegate e in tutti questi filoni che noi andiamo a costruire possiamo inserire il tema del rapporto intergenerazionale.
Adesso stanno nascendo, ad esempio, dei progetti che ragionano molto sul collegamento fra le giovanissime generazioni e gli anziani, i piccoli e i nonni; io credo che questo sia molto importante e che già da lì si cominci ad instillare una goccia virtuosa; però è ovvio che è ancora più importante che mettere a contatto dei giovani in età già attiva con chi ha esperienza, con chi sa trasmettere questa cultura che deve diventare un mattone fondamentale se vogliamo costruire una società un diversa.
Tutto questo secondo me ha un corollario nel fatto che non dobbiamo pensare al volontariato e alla cultura del volontariato come a qualcosa che si esaurisce in quelle ore e in quei confini in cui viene svolto il servizio volontario; tutto ciò aiuta a vivere meglio le relazioni tra persone e secondo me aiuta anche a costruire una società e un’economia diverse, più umane, migliori dal punto di vista dei rapporti tra persone. Siccome, al di là di quello che noi vediamo nella politica, nel mondo del lavoro e nel mondo dell’economia, le relazioni non sono caratterizzate da un grande livello di umanità, io credo che diffondere il più possibile la cultura del volontariato metta dei semi positivi che aiutano anche a migliorare tutta la società, anche per quanto riguarda proprio il vivere il mondo del lavoro, il mondo dell’economia in maniera più virtuosa.
Poi ci potremmo mettere un altro ragionamento che è quello che, ovviamente senza sostituirsi agli enti pubblici, ma dando il valore aggiunto, i servizi che il mondo del volontariato aiuta a sviluppare sul territorio fanno sì che si qualifichi meglio anche il tessuto sociale e produttivo; le grandi aziende che decidono di andare a fare degli investimenti sui territori non guardano solamente a dove costa meno il lavoro, ma guardano anche dove c’è una rete di servizi che permetterà ai propri dipendenti o futuri dipendenti di dedicare più tempo al lavoro, ad esempio servizi di cura della persona su cui le persone possono fare affidamento per i propri genitori, per i propri figli. Tutto questo tema della cultura del volontariato deve coinvolgere i giovani, ma ha comunque un carattere virtuoso su tutti i fronti e quindi fa bene in generale a tutta la società.
Oggi ci interroghiamo spesso sul perché le persone, soprattutto i giovani, non si avvicinano al mondo della politica; io prendo quel dato che si citava prima, sul fatto che invece molti giovani si avvicinano al mondo del volontariato, allora, senza semplificare con l’accetta le cose, io la leggo così, banalmente, secondo me se un giovane deve scegliere se andare a dare una mano in una casa dove c’è della gente che litiga solamente e vede che invece, da un’altra parte, può fare qualcosa di utile e sentirsi immediatamente utile per le persone, per una persona anziana, per prendersi cura dell’ambiente, del proprio territorio, siccome io son convinto che i giovani non siano quella categoria di sfaticati che si descrive tante volte, è ovvio che sceglie di fare un’esperienza nel mondo del volontariato. Ecco, allora, quando parliamo di crisi della rappresentanza, dobbiamo interrogarci tutti, però non buttiamo tutto in quel calderone, nel senso che c’è una parte di rappresentanza virtuosa, che è quella data proprio dall’esperienza e dal mondo del volontariato, che noi abbiamo bisogno di sostenere e che rappresenta un’esperienza positiva su cui i giovani, se sono messi nelle condizioni adatte, hanno voglia di investire. Su questo noi dobbiamo credere anche perché, cito banalmente Gaber, “libertà è partecipazione” e secondo me noi aiutiamo anche a far crescere un concetto di libertà in questo modo, tra le persone e i giovani, che è assolutamente virtuoso e di cui noi abbiamo bisogno nella nostra società oggi.
Deborah Ugolini – Ufficio Stampa Auser Ravenna
I temi come vedete sono più che trasversali.
Abbiamo parlato di giovani, il secondo argomento è quello dell’opportunità di allargare i tirocini formativi e gli stage, che vengono previsti soprattutto per le aziende, quindi con il conferimento di crediti formativi, anche al mondo del volontariato.
Esiste il Sistema Regionale delle Qualifiche (SRQ) per gli standard professionali esiste il Sistema Regionale di Formazione e Certificazione delle Competenze (SRFCC). Può il mondo del volontariato rientrare in questi strumenti che sono previsti per le aziende?
Il quadro normativo prevede già la possibilità di dare crediti formativi per chi svolge volontariato. Oggi tutti gli istituti superiori sono praticamente obbligati a istituire una formazione extracurricolare, fuori dalla scuola o all’interno della scuola, ma con attività che non riguardano lo studio, c’è una legge regionale del 2005; le norme generali però non sono ancora chiare su questo punto: può il mondo del volontariato dare voce, dare crediti formativi, dare una formazione?
Perché, da una parte, e se ne è parlato moltissimo, la formazione è a livello civico e civile, come ha detto Mirella nel suo bellissimo discorso, chi impara a fare volontariato se lo porta dentro come modo di essere e questa è una cosa che già basterebbe, ma non solo, ad oggi ci sono delle professionalità, delle professioni che potrebbero effettivamente trovare una formazione.
Prima di passare all’argomento dei lavori socialmente utili, ripartirei dall’Assessora Morigi.
Valentina Morigi – Assessora a bilancio, partecipazione, servizi sociali, casa, politiche giovanili e immigrazione del Comune di Ravenna
Rispetto al tema dei crediti formativi l’interlocutore principe è soprattutto la scuola. Chiaramente c’è il tema degli enti locali, dell’organizzazione della progettualità, ma c’è un tema che riguarda la scuola, immagino che la dottoressa Martinez avrà modo di raccontarci l’impegno degli istituti e del mondo scolastico su questo versante.
Io volevo dire due cose su questo tema. La prima è che molti ragazzi oggi non si avvicinano al mondo del volontariato non per pigrizia, ma forse, escludendo i presenti, c’è un po’ di chiusura rispetto all’accoglienza di giovani volontari, perché mettere in discussione dei meccanismi, delle modalità, è un po’ complicato; diciamo che quando arriva qualcuno di particolarmente giovane tendenzialmente prova un po’ a scardinare le cose e questo non sempre viene preso bene.
C’è un altro tema secondo me, ma lo abbiamo già detto in mille parole tutti, che è il tema della cultura. Oggi la generazione di mezzo tra la vostra e la mia difficilmente dedica tempo al volontariato, i genitori degli adolescenti di oggi non fanno volontariato, raramente sono impegnati in attività di cura della comunità, raramente sono impegnati in un pensiero collettivo che vada oltre la propria abitazione, le proprie aspirazioni personali, le proprie paure personali, perché non è solo una questione di egoismo legato a un modello di consumo, ma è anche una questione di come si sta in una comunità che tutti i giorni ti ricorda che c’è una crisi, che c’è chi ti porta via tutto. In un bellissimo film (Non ci resta che piangere – 1984) dicevano a Massimo Troisi «ricordati che devi morire» e lui rispondeva «mo’ me lo segno». Al di là di questo ragionamento dovremmo quindi chiederci come mai spesso le giovani generazioni tendono a non occuparsi di ciò che li circonda. Non è pigrizia, ma è che forse tutti dovremmo un po’ metterci in discussione e chiederci se siamo accoglienti rispetto alle giovani generazioni.
Io vi racconto l’esperienza che abbiamo fatto come comune di Ravenna, legato ai crediti formativi. 5 anni fa ci poniamo il tema di come avvicinare le giovani generazioni non solo al mondo del volontariato, ma anche al proprio territorio, cioè noi abbiamo anche tutta una serie di riferimenti nei territori di ragazzi che non vivono più i loro paesi come li ho vissuti io, come li avete vissuti voi, in una rete di collegamento con i negozi di vicinato, con le persone del posto; spesso stanno chiusi nella propria cameretta con tutti quegli aggeggi in mano e vivono molto poco la dimensione della socialità del proprio paese. Ci siamo inventati un progetto che si chiama magliette gialle che consisteva in questo: abbiamo convinto tutti gli istituti superiori del comune di Ravenna a fare un patto con noi e a concedere crediti formativi ai ragazzi che avrebbero trascorso una settimana della loro estate in un progetto o in un’attività di volontariato o di cittadinanza attiva che andava dal canile alla pulizia dei murales, ma anche alla sistemazione delle panchine del parchetto dietro casa che non frequentano pur avendocelo dietro casa, anche a una serie di attività legate al doposcuola e alla scuola sotto gli alberi. Quando, 5 anni fa, abbiamo immaginato questo progetto io e i miei operatori culturali saremmo stati soddisfatti di avere, il primo anno 80 adesioni di ragazzi e ragazze. Bene, il primo anno aderirono 200 persone, il secondo anno 300, insomma, per farvela breve io ho chiuso il mandato precedente con 800 iscrizioni a queste esperienze estive.
Allora non è solo il credito formativo. Il credito formativo non è il motore esclusivo delle attività di volontariato e socialità, è sicuramente una parte delle motivazioni che spinge i ragazzi a frequentare attività di volontariato e di cittadinanza attiva, è però uno di quei motori che va tenuto in considerazione in relazione al fatto che chi si impegna poi, guarda caso, anche l’anno successivo decide di ripetere l’esperienza e alcune ragazze e ragazzi, in particolar modo quelli legati alla biblioteca di Casa Vignuzzi, che è la biblioteca per i più piccolini, terminata la settimana estiva, ci sono tornati spontaneamente come giovani volontari durante l’inverno.
Allora io credo che il credito formativo abbia senso se non è fine a se stesso, ma se si inserisce in un quadro per cui diventa una modalità attraverso la quale si entra in relazione con la scuola, si costruisce un pezzo di percorso di comunità e di socialità con la scuola, con il territorio, ma non può essere l’obiettivo principe delle azioni di volontariato.
Quindi ben venga tutto il ragionamento dei tirocini e dei crediti, teniamo presente comunque che la ricostruzione di un tessuto culturale che faccia intravedere la collettività, ciò che è pubblico, ciò che è fuori da me, come qualcosa che mi appartiene, ciò che è pubblico, lo dico sempre, in questo Paese finisce per essere ciò che non è di nessuno, noi dobbiamo scardinare questa mentalità e cominciare ad affermare che ciò che è comune, ciò che è collettivo, ciò che è pubblico, appartiene a tutti di diritto e tutti ce ne dobbiamo fare carico, a partire dalle giovani generazioni.
Eleonora Proni – Sindaca di Bagnacavallo, Responsabile di Politiche socio-sanitarie, Immigrazione e Prog. Riorganizzazione ASP per l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna
Lo hanno già detto in diversi, sono questioni importanti, che potrebbero anche essere affrontate in un unico ragionamento, ma ciascuna, presa a sé, meriterebbe un supplemento di approfondimento; si è parlato di crediti formativi, di inserimenti lavorativi, di lavori socialmente utili, dietro ogni definizione c’è veramente un mondo anche di complessità, di riferimenti normativi per quello che si può fare ed è contemplato nelle normative di riferimento.
Penso a tutto il tema della formazione, dei tirocini formativi, mi viene in mente la Legge Regionale 14 del 2015, mi vengono in mente anche i nuovi provvedimenti nazionale e regionale, il SIA e il RES, che parlano in un modo diverso di un aiuto, di un sostegno alle famiglie, quindi non soltanto al mondo dei giovani, ma proprio a tutte le persone in difficoltà, non più tanto un tema di disabilità, ma di svantaggio, legati, per la prima volta, all’assunzione di una responsabilità a fronte di un sostegno economico; quindi tutto il mondo dei progetti dove, anche qui, il volontariato può svolgere veramente un ruolo da protagonista, perché, rispondo un po’ a Costantino, riprendo un po’ i ragionamenti che faceva lui, c’è tutta una discussione da affrontare con molta laicità e anche con molta consapevolezza, dei limiti della fase economica che stiamo vivendo, perché sono tutti progetti che sono indirizzati al reinserimento di persone in difficoltà nel mondo del lavoro; un lavoro che però fa fatica a trovare tutti questi spazi, perché se non la prendiamo anche dal punto di vista proprio economico, sociale, culturale di un progetto di ricreazione, di ampliamento della produzione della ricchezza, è fatica anche poi trovare gli spazi per collocare tutte queste persone in una dimensione di progettualità che ti riaccompagna. Quindi non solo un inserimento, un tentativo di provare a ricollocarsi nel mondo del lavoro, ma anche uno spazio di progetto di vita da svolgere all’interno di una dimensione, di esperienza di volontariato, quindi anche su questo credo che le associazioni, soprattutto quelle più strutturate anche dal punto di vista organizzativo e che si ancorano a tutto un impianto di valori e di principi importanti come è senz’altro Auser, siano un pezzo importante di questa progettualità da tenere insieme agli enti locali e anche al mondo del lavoro, perché di questo stiamo parlando.
Sui crediti formativi ha già detto Valentina quindi non riprendo cose che condivido e che sono state articolate anche meglio. Mi viene solo una riflessione, anche perché credo che sia interessante dirsi un po’ le cose, quello che si sta facendo, i progetti, i punti di vista, ma anche riconoscere le difficoltà e le contraddizioni nei ragionamenti e nelle progettualità che riusciamo a sviluppare.
Il rapporto con la scuola è senz’altro una di quelle cose bellissime, ma anche difficili e delicate, Maria Luisa Martinez mi integrerà o mi correggerà se vado fuori strada, non penso tanto alla vostra esperienza, ma non lo dico perché sono qui, ma proprio per quella robustezza e quella capacità, quell’ancoraggio di cui parlavo prima. Il mondo del volontariato si rivolge alla scuola, fortunatamente, continuativamente, nel senso che sono moltissime le proposte, i tentativi, tutti benintenzionati, tutti con obiettivi veramente importanti e nobili di coinvolgere la scuola, è però vero che la scuola, sia in termini di autonomia, ma sia in termini proprio di costruzione di un progetto formativo, educativo dei ragazzi, non può neanche poi disperdersi in mille rivoli che rischiano anche di essere una contraddizione loro stessi, nel senso che ognuno preso a sé è importante, la sommatoria di tutte queste cose, se non è articolata in un ragionamento di rete, come veniva detto prima, e anche di collocazione di un progetto all’interno di un percorso di vita, sociale, culturale e lavorativo, rischia di essere anche una dispersione di energia.
Quindi io credo che la scuola sia uno di quei mondi con cui bisogna porsi molto in punta di piedi, con il rispetto per sua autonomia, ma anche per il fatto che questi ragazzi devono comunque affiancare a tutto questo lavoro, che è preziosissimo perché li farà diventare cittadini attivi, ma che non deve però far venir meno un percorso formativo che dia loro quelle competenze, quegli strumenti per collocarsi in questo mondo così ricco e così articolato.
In tutte le cose ci sono sempre degli aspetti molto importanti, molto nobili, lo strumento con cui cerchiamo di raggiungere questi obiettivi è esso stesso molto importante.
Deborah Ugolini – Ufficio Stampa Auser Ravenna
So che Mirco Bagnari deve abbandonarci un po’ prima, allora mi scuserete se do la parola direttamente a lui, lasciandogli, a questo punto libertà di allargarsi anche all’ultimo argomento che noi tratteremo poco dopo, quindi crediti formativi e lavori socialmente utili.
Mirco Bagnari – Consigliere regionale, commissione politiche per la salute e sociali
Vi ringrazio per la cortesia e per l’attenzione che avete avuto nei miei riguardi, purtroppo devo fare la spola con Bologna. Approfitto proprio di questa apertura più ampia per fare un ragionamento un più complessivo.
È evidente secondo me che, anche in base alle cose che diceva prima Eleonora Proni, c’è una dimensione legata al tema delle possibilità che vengono offerte, anche dalla normativa regionale, alle persone che si trovano in stato di fragilità, penso alla Legge Regionale 14 del 2015, ma anche al RES che ha citato prima Eleonora, perché qui vediamo, secondo me, le possibilità che si possono aprire, per dare un aiuto, ma non tanto un aiuto assistenzialistico, quanto un aiuto per cercare di ricostruirti un percorso di vita.
La Regione ha concepito il RES come uno strumento che potenzialmente poteva dare una risposta più ampia alle persone in difficoltà e questo ci consente di lavorare su più tipologie di problemi, su più fattispecie e di dare più opportunità; ovviamente non è la panacea, se noi pensiamo che col RES abbiamo risolto tutti i problemi di povertà e di emarginazione della nostra Regione non ci siamo, però diciamo che abbiamo un po’ più di margine di manovra, oltre a quei 35 milioni che mette lo Stato, la Regione ha fatto la scelta di metterne altrettanti, una scelta pesante per il nostro bilancio, però secondo me è stata una scelta giusta e legando il tutto alla possibilità di fare dei percorsi di reinserimento e di miglioramento della propria prospettiva occupazionale e di vita. In tutto questo è evidente che la possibilità di potere contare sulle esperienze che si fanno, su dei crediti che tu puoi anche spendere successivamente nel percorso di ricostruzione della tua vita, è un aspetto importante.
Io questo tema lo collego al tema dell’esperienza di volontariato quando parliamo proprio dell’immigrazione, delle persone immigrate. Anche qui, grazie ad un accordo che è stato fatto fra Regione, Prefettura di Bologna, Forum del Terzo Settore e organizzazioni sindacali, è stato creato un protocollo che consente l’utilizzo, nella nostra Regione, dei richiedenti asilo, in quelli che sono i lavori socialmente utili; capiamo tutti quanti l’importanza che ha questa cosa, perché, intanto dà una spallata a chi vuole vedere l’arrivo degli immigrati solo come l’invasione di chi viene qua, mangia pane a tradimento, ci ruba le donne, perché noi stiamo leggendo anche queste cose in giro, credo che invece sia un’opportunità per quelle persone, per ricostruire un percorso di vita dignitoso, ricordiamoci questo, perché queste persone scappano per cercare una vita dignitosa, poi è ovvio che col sistema che noi abbiamo in atto si cerca anche di fare una selezione fra chi, per qualche motivo, cerca anche di venire qua per fare altro, ma la stragrande maggioranza delle persone sono persone che scappano dalla guerra, dalla miseria, dalla fame, e quindi credo che ci sia, da parte nostra, la necessità di dare loro questa opportunità; ma è un’opportunità anche per noi, basta guardare come gestisce l’immigrazione la Germania, che focalizza l’attenzione sul background di chi arriva, sul suo patrimonio di competenze. Io credo che noi dobbiamo fare anche questo, perché comunque sono persone che possono dare un valore aggiunto alla nostra società e quindi questo protocollo e l’opportunità di questa esperienza di volontariato a favore delle comunità diventa un elemento positivo proprio per cercare di rompere una cultura della paura e dell’odio che ci sta monopolizzando, per dare un contributo da parte di queste persone alle comunità, nello stesso tempo, siccome questa esperienza, poi può dare anche a queste persone un’esperienza spendibile per un futuro lavorativo, diventa uno strumento interessante perché si costruiscono poi degli elementi positivi.
Poi io cito un ultimo esempio, che secondo me è emblematico. In diverse comunità in Piemonte molti immigrati che venivano dall’India e dal Pakistan, siccome c’è una buona conoscenza della lingua inglese, hanno cominciato a fare dei corsi di lingua, non tanto o non solo gli italiani a loro, ma anche loro di lingua inglese a noi italiani.
Allora capite che potenziale positivo c’è in tutto questo, in termini di integrazione bidirezionale, perché qui non è che dobbiamo pensare solo che dobbiamo integrare gli altri, dobbiamo integrarci tutti e imparare qualche cosa di più. Se leggiamo in questo modo anche questo tipo di esperienze possiamo avere un valore aggiunto tutti quanti anziché vivere nel mondo della paura e dell’odio che è appunto quella cultura che noi anche con quello che dicevamo prima e con queste azioni abbiamo non solo la necessità, ma abbiamo il dovere, abbiamo il dovere di contrastare.
Marica Guiducci – Presidenza Nazionale Auser
Io sono ancora con i pensieri nel servizio civile e mi pongo dal punto di vista di un giovane. Non solo i giovani portano qualcosa alle nostre comunità, ma noi dobbiamo pensare anche a loro; siamo anche noi, come Terzo Settore, come associazionismo, a dover fare qualcosa per questi giovani che si avvicinano al servizio civile.
Noi in Italia abbiamo il 40% di disoccupazione per la fascia di età dai 18 ai 28 anni, non in tutte le regioni, ma in alcune regioni la situazione è anche più grave e arriviamo al 50%. Questo fa sì, e dobbiamo dircelo anche in questa sede guardandoci negli occhi, che i giovani si avvicinino al servizio civile con aspettative diversa rispetto a 20 anni fa. Nulla rimane uguale, i vuoti si riempiono nelle società, le persone cambiano, le dinamiche economiche e le dinamiche sociali trasformano le aspettative, i desideri, i bisogni e anche questi giovani, noi lo vediamo nei nostri circoli, nelle nostre strutture, si avvicinano al servizio civile con una forte carica ideale, perché quella non la perdono, altrimenti farebbero altro, non arriverebbero al mondo del no-profit, spesso hanno alle spalle altre esperienze di militanza, di attività, di partecipazione, nei comitati di base per l’acqua, per i beni comuni, nelle associazioni degli studenti, degli universitari, ma hanno un’aspettativa forte per il futuro e allora questo dev’essere un impegno per il Terzo Settore tutto, per il volontariato.
La sfida nostra è investire su questi giovani, non relegarli in incarichi ripetitivi, routinari, di terza fila, avere il coraggio di aprirgli la strada; se un giovane si avvicina al Terso Settore perché desidera fare il servizio civile ci fa una richiesta, forse ha una prospettiva nella quale si domanda se quel Terzo Settore può essere un luogo nel quale lui potrà in futuro costruire una professionalità e allora progetti, ma anche un’attività, attraverso i nostri OLP che è un’attività che li porta a confrontarsi con i problemi reali del nostro mondo. Come si fa un bilancio? Come si fa un bilancio di genere? Come si fa un monitoraggio delle attività di un’associazione?
L’impatto dell’efficacia, ne parlava Mirella nella sua relazione, nel Paese in Europa che ha il peggiore indice di efficacia dei servizi sociali la nostra sfida come volontariato è imparare a leggere la qualità del nostro essere volontariato. Lo sappiamo trasformare? Le nostre azioni di volontariato trasformano? Sono capaci di andare alla radice del bisogno?
In questo paese manca la cultura del monitoraggio, che poi serve a reindirizzare i servizi, serve a fare arrivare i servizi allo scopo e allora anche nel servizio civile facciamo questo sforzo, questo salto di competenze.
E ritorno ai crediti. Tutto questo non viene riconosciuto. Sì, è vero, nel curriculum c’è l’aver svolto un’attività di servizio civile, ma questo non è riconosciuto, non è quantificato, perché la radice del problema è che non esiste un sistema nazionale per la lettura dei crediti formativi. Non esistono dei criteri nazionali.
Nel 2013 c’è stato finalmente il recepimento di una direttiva europea rispetto alle reti di apprendimento formale e informale nel nostro paese. Un successo importante per tutti quelli che in questi anni hanno investito risorse, energie, competenze, per costruire luoghi, penso alle nostre università popolari, ai nostri circoli culturali, in cui le persone continuano ad apprendere e sappiamo che apprendere significa essere autonomi, essere integrati. Apprendimento è inclusione, è libertà, è autonomia, autodeterminazione.
Faccio un salto indietro. Quando pensiamo a Bruno Trentin, c’era qualcuno che lo citava, l’elaborazione straordinaria di quegli anni è stata che la nascita dell’Auser è arrivata in un momento di ridefinizione strategica della CGIL, attraverso anche e soprattutto l’elaborazione di Bruno Trentin che guardava alla sfera dei diritti della persona e all’apprendimento come fattore di emancipazione e questo è il nostro DNA. L’apprendimento come momento in cui l’essere umano costruisce la propria dignità, la propria autodeterminazione, il sapere è inclusivo.
Noi siamo il Paese con il più vasto patrimonio culturale, artistico, archeologico e, purtroppo tra i tanti primati che abbiamo abbiamo anche questo, siamo tra i paesi europei con una minore fruizione del patrimonio artistico e culturale. Ecco, questo è un vero danno. Quando noi parliamo del rapporto tra scuola, volontariato, giovani, riconoscimento del credito formativo, mancano i progetti, è questo il tema.
Vi ricordo un altro importante accordo, che è stato firmato, noi abbiamo un altro primato, quello di firmare gli accordi, avere dei meravigliosi quadri legislativi, non a caso siamo la culla della legge e poi li svuotiamo di contenuti, accordo importantissimo tra il Forum del Terzo Settore e l’ANCI, per l’agevolazione dell’assegnazione alle associazioni del Terzo Settore di siti archeologici, di luoghi di valore culturale e di luoghi di demanio dei comuni, che però non è stato realizzato, perché poi questo affidamento non c’è stato. Lì ci sarebbe un enorme campo di intervento per tanti giovani volontari che vengono da una formazione di tipo umanistico e noi siamo ancora una delle migliori scuole per la formazione umanistica, di contributo nella loro comunità, per progetti che siano concretamente visibili, che siano parte della nostra cultura del fare, che siano visibili, che siano progetti di rigenerazione del patrimonio culturale e artistico.
Sempre nella nostra esperienza, per dire anche qualcosa che riguarda la nostra esperienza, abbiamo lavorato tanto sul tema dell’intergenerazionale, dell’insegnamento giovani ad adulti e da adulti a giovani, per esempio quello dell’insegnamento dei ragazzi a persone della terza età, la chiamiamo così, a navigare su internet, l’alfabetizzazione informatica, anche questo potrebbe essere un momento riconosciuto, perché no, anche con un credito da inserire nel sistema scolastico.
Maria Luisa Martinez – Consigliera Provinciale con delega in materia di Pubblica Istruzione ed Edilizia Scolastica
Ho sentito tante cose, alcune di queste molto lodevoli.
La parola volontariato nel mondo della scuola è entrata nel momento della riforma degli esami di stato. Per la prima volta si è parlato di crediti formativi e per la prima volta nell’elenco, in parentesi, su quella norma, di enti che erano deputati a dare i crediti formativi che si differenziavano dai crediti scolastici, c’era la parola volontariato. L’unica cosa che si chiedeva all’ente era che doveva avere gli stessi obiettivi che si era prefissata la scuola, quindi un giudizio finale sullo studente che desse conto di partecipazione, attenzione e responsabilità. Quindi diciamo che da questo punto di vista la legittimità rispetto al credito formativo veniva data anche al volontariato.
C’è stata una grande discussione, perché l’esterno non ha compreso che rispetto a quel credito lo studente arrivava a quel famoso massimo della banda che permetteva di raggiungere un punteggio pieno e questi crediti facevano parte del curriculum dello studente, quindi quando la scuola scriveva quello che lo studente aveva fatto negli ultimi tre anni, con tutte le indicazioni dei crediti formativi c’era anche il credito formativo legato al volontariato.
Di questo molte scuole ne hanno tenuto conto, era competenza del collegio docenti stabilire quali crediti sì e quali crediti no, molte scuole hanno tenuto molto più conto del credito formativo del volontariato rispetto a quello dello sport.
Nel frattempo c’è l’alternanza scuola lavoro che però ha cambiato forma, non è più quella estiva, quella che viene fatta in modo estemporaneo, quella delle magliette gialle per capirci, anche se aveva un senso, perché lo studente arrivava, per quel periodo estivo, quel mese, quelle 4 settimane, prendeva la sua formazione e a quel punto ripeteva e tantissimi hanno ripetuto. Adesso l’alternanza scuola lavoro è diversa, è curricolare, è definita come monte ore fisso su tre anni, sono 400 ore per gli istituti professionali e gli istituti tecnici, 200 ore per i licei. Quindi tutto quel mondo legato anche alla cultura intesa come volontariato presso i musei, o come sostegno, ad esempio, agli anziani, dev’essere regolamentato.
Quello che ci dev’essere è un accordo tra la scuola e l’ente e se l’ente sono il Terzo Settore e il volontariato ci dev’essere una condivisione, una convenzione dove si stabiliscono i limiti, i paletti e i movimenti, per cui questi ragazzi raggiungono, alla fine, valutati, le famose 400 ore. Si può fare in modo esterno, con una parte interna dove il gruppo spiega agli studenti la sua assistenza, come sono collocati sul territorio, com’è posto il territorio. È chiaro che nelle scuole, dall’altra parte, come diceva Eleonora, non bisogna entrare in modo irruente, perché tutti hanno la loro autonomia, tutti hanno le loro prerogative, bisogna entrare in punta di piedi; per questo molte imprese anche grandi hanno stilato convenzioni con l’ufficio scolastico regionale, penso ad Hera, penso alla Coop, penso a tante imprese e perché non potrebbe essere fatto questo a livello regionale con il settore del volontariato, da cui poi le scuole possono in qualche modo prendere, da quel tipo di convenzione, per riadattarla alle loro esigenze, perché gli obiettivi sono gli stessi.
Allora penso che nell’ambito di una struttura legata al Terzo Settore si può tranquillamente insegnare e far vedere i parametri per un bilancio sociale, per esempio, che anche ai nostri studenti va benissimo da apprendere e da portare avanti. È chiaro che coperti da un protocollo di intesa come hanno fatto Hera,Eni o Enel, con l’ufficio scolastico regionale, ci sono delle coperture maggiori; ciò non toglie che si possa, in punta di piedi, entrare in una scuola, andare a parlare col preside, con quella figura che è preposta all’alternanza scuola lavoro e insieme si possa costruire un percorso. Ci sono scuole che sono già pronte a fare questo, anche perché le famose 400 o 200 ore sono difficili da raggiungere e un aiuto in questo senso, anche alla scuola, per potere arrivare agli obiettivi anche di formazione e di crediti per gli studenti, è importante.
È diverso invece dai criteri di cui si parla e che collegano gli istituti professionali nello specifico, poi con le figure che in regione vengono riconosciute, su quello andiamo più sui professionali, è un percorso di tipo un po’ diverso, ma anche lì è chiaro che molto dipende dalla scuola; ma non crediate che le scuole siano così chiuse, sono chiuse di fronte al modo in cui uno si presenta, ma nel momento in cui ci si siede e si dialoga non c’è, io penso, nessuna istituzione scolastica che sbatte le porte in faccia a nessuno; bisogna lavorarci però, perché tante sono le esigenze, ma tante sono anche le spinte che vengono dall’esterno e c’è da capire cosa è buono e cosa non è buono.
Rispetto all’alternanza scuola lavoro i comuni si sono fatti avanti e le scuole hanno aperto le loro porte perché sanno che non si va solo a fare fotocopie, ma si va ad imparare e ad investire. Il ragazzo poi è disponibile, ci sono quelli più disponibili e quelli meno disponibili, però io vedo che se il lavoro che si fa è un lavoro positivo e propositivo, non c’è nessun ragazzo che dopo non vada da solo a fare. È chiaro che i ragazzi, è stato detto, bisogna che anche voi, in qualche modo, li accogliate non chiusi, cioè loro sono ragazzi nati digitali, di conseguenza hanno prospettive, idee, pensieri, sono quelli pronti a creare le start-up, allora se, arrivando così, trovano un mondo che li sta poco a sentire è chiaro che si sentono respinti e in qualche modo se ne vanno, ma di potenzialità ce ne sono tante.
Vi faccio solo un esempio piccolino. Tra le varie associazioni che io frequento, su Faenza, perché io vengo da lì, ci sono i rioni, l’obiettivo è il palio. Non sapete quanto volontariato si svolge là dentro, ma non solo da parte delle persone grandi che vanno lì a fare i tortelloni o a preparare il ragù e per le feste, ci sono ragazzi che vanno, da bambini fino ad adulti, e si impegnano costantemente per imparare a suonare una chiarina o un tamburo, che vanno ad accudire i cavalli sabato, domenica, lunedì, Pasqua, Natale perché il cavallo mangia sempre e devono stare attenti ed accorti, ce ne sono tantissimi; il che vuol dire che se noi diamo a loro anche la possibilità di lavorare in sinergia in un gruppo, perché devono imparare a lavorare in gruppo, ma facendoli sentire protagonisti nel loro percorso, loro ci ridanno quello che noi gli abbiamo dato.
Indubbiamente non possiamo pensare di presentarci solo come persone che sanno di fronte a chi non sa niente, ma dobbiamo starli a sentire, dobbiamo imparare a lavorare in gruppo anche noi adulti.
Per i crediti penso di avervi detto tutto.
Deborah Ugolini – Ufficio Stampa Auser Ravenna
Visto che si sta avvicinando l’ora di pranzo velocizziamo e a Costantino facciamo due domande in una, così cambiamo anche il giro e vivacizziamo un po’.
L’ultimo tema, poi Costantino ci parlerà di entrambe le cose nel suo intervento, è il discorso dei lavori socialmente utili.
Due cose veloci. I lavori socialmente utili ci sono dal 1981, alla fine degli anni 90 erano 170.000 le persone impegnate, poi c’è stato un riassestamento e nel 2015 erano 15.000 per un investimento di 70.000 euro annui.
Se andate a vedere quali sono considerati i lavori socialmente utili troverete le cose che fate voi ogni giorno, cioè la cura del territorio, il sostegno alla cultura, l’aiuto alle parti più fragili della comunità, tutto questo è considerato lavoro socialmente utile.
Quindi il tema di discussione per i nostri ospiti è in che modo e in quale misura il volontariato si può riappropriare anche di questo sistema e quanto e come è possibile renderlo disponibile per chi ottiene qualcosa e si trova inattivo nella società.
Costantino Ricci – Segretario Generale CGIL Ravenna
Sulla prima domanda, può l’Associazione, Auser, il Terzo Settore, stare nel percorso dell’alternanza scuola lavoro? Io penso che abbia risposto benissimo la Dottoressa Martinez. Ci sono delle questioni, può essere un ragionamento regionale, la scuola va presa anche in punta di piedi, e per me è importante.
Io poi ho una mia idea dell’alternanza scuola lavoro e devo dire che, come CGIL, i primi anni in cui è stata realizzata qualche problematica l’abbiamo ravvisata, anzi ci vorrebbe un confronto con le organizzazioni sindacali, perché la scuola deve formare le coscienze e dare formazione e se l’alternanza scuola lavoro, come fa qualcuno, serve a dare un indirizzo professionale, sta sbagliando. Il concetto che deve emergere è invece come si approccia lo studente che deve vivere questa cultura, il suo rapporto con qualcosa di diverso, la sua capacità di stare insieme, nel rispetto anche degli orari e dei tempi, nel rispetto dell’ambiente in cui va; Auser, come le associazioni del Terso Settore, si può ben candidare, perché è una grande palestra di vita. Bisogna poi stare molto attenti perché parliamo di ragazzi minorenni, quindi le organizzazioni più strutturate sono una maggior garanzia.
Però, come sta avvenendo adesso, è un po’ il caos l’alternanza scuola lavoro, con tutto l’impegno degli istituti di trovare le soluzioni, vanno trovate le aziende, devono essere disponibili, vanno indirizzate. Dico la mia prima esperienza da genitore, quindi non parlo da sindacalista, mia figlia fa il liceo artistico, il primo anno ha fatto l’alternanza scuola lavoro al Museo Varoli di Cotignola, è stata un’esperienza, lei dipinge, fa pittura, il secondo anno c’era ha fatto l’alternanza scuola lavoro alla Scuola Materna Muratori di Ravenna, perché il principio, io gliel’ho dovuto spiegare, non è quello di imparare un mestiere, ma di imparare a relazionarsi; va portata però attenzione anche alle particolarità, alle capacità, alle attitudini dei ragazzi, cioè non deve essere vissuto dallo studente come un problema.
Io penso che l’associazionismo e il volontariato abbiano lo spazio e i mezzi per far vivere questa esperienza come una ricchezza.
Per quanto riguarda i lavori socialmente utili sarò velocissimo. Io toglierei “socialmente utili”, perché il lavoro è utile, il lavoro è sociale, il lavoro è quello che crea la condizione di emersione dall’emarginazione, che permette di essere in una comunità, di svilupparsi, il lavoro è determinante, soprattutto quando non c’è, è questo il punto.
Io non ho mai amato molto il lavoro socialmente utile, perché noi, il Paese, la politica, dobbiamo iniziare a ragionare e investire su come creare il lavoro, se ci inventiamo pezzi di lavoro per dare un sostegno economico alle persone in difficoltà non stiamo svolgendo la missione per cui la politica, le forze politiche e il sindacato devono lavorare. Noi dobbiamo creare il lavoro, non dobbiamo inventarci pezzi di lavoro e soprattutto dobbiamo avere un’attenzione alla costruzione di percorsi del lavoro, dove ci dev’essere un ragionamento di dignità.
Io sono uno di quelli che più di una volta ha contestato il Ministro Poletti, più di una volta l’ho sentito dire che alla mattina uno deve alzarsi e deve cercarsi il lavoro, se ha un ammortizzatore sociale, se è in cassa integrazione, deve essere a disposizione del proprio Comune e io per due volte gli ho fatto notare che non c’è una legge; possono servire al volontariato, sì, ma se non c’è una legge che metta in condizioni di sapere che questi hanno un sostegno economico e quindi possono essere anche disponibili per la propria comunità non si può fare niente.
Allora quello è il lavoro, io la preoccupazione che ho è quando ci inventiamo qualcosa che può veramente creare una rottura tra chi anche farà questo pezzo di lavoro socialmente utile e chi il lavoro lo sta cercando come quel 40% dei giovani che non ce l’ha. Questa è la preoccupazione.
Noi abbiamo bisogno, in questo Paese, di investire sul lavoro buono di qualità, sui diritti di chi lavora, ma soprattutto tutto questo seguendo il principio che al centro del lavoro c’è la persona, con la sua dignità, con i suoi diritti e con i suoi doveri, che molte volte anche nelle politiche degli ultimi tempi ci siamo dimenticati.
Deborah Ugolini – Ufficio Stampa Auser Ravenna
Continuo ridando la parola alla Dottoressa Martinez.
Maria Luisa Martinez – Consigliera Provinciale con delega in materia di Pubblica Istruzione ed Edilizia Scolastica
Adesso faccio un altro cambio di giacca, perché io di giacche, come ho detto, ne ho portate tante e ne porto ancora. Tolgo la giacca di prima e mi metto quella di Presidente del Consiglio dell’Unione della Romagna Faentina, perché altrimenti non avrei assolutamente niente da dirvi.
Come presidente del Consiglio dell’Unione ho sentito l’esperienza che hanno fatto a Casola Valsenio con quei lavori, che giustamente non devono essere chiamati socialmente utili, ma che indubbiamente hanno permesso a quei ragazzi immigrati che loro hanno ospitato, di potere acquisire quella dignità che gli permette di camminare in quel paese, non dico a testa altissima, ma con un rispetto; Casola Valsenio è stato il primo comune che lo ha fatto nella Romagna Faentina e mi sembra che adesso si stia allineando anche Faenza.
Fare sì che queste persone abbiano uno scopo nella loro vita, quello anche di alzarsi la mattina per andare nel giardino del paese e togliere le erbacce, mi sembra che permetta loro di considerarsi ancora persone e, riprendo quello che diceva stamattina il Presidente Michele De Pascale, di essere guardate dagli altri non con sospetto, trovando un punto di incontro tra loro e la comunità.
Queste persone stanno venendo non perché abbiano tutta questa grande voglia di venire, molti di loro, ma perché sono costretti.
Ritornando a Faenza, ho sentito che ci sono molti studenti nel faentino, delle scuole secondarie di secondo grado, che stanno dando lezioni di italiano ai ragazzi stranieri, che dentro al nostro territorio di Faenza ci sono e so che anche Faenza, come comune, si sta allineando verso questi lavori socialmente utili.
Secondo me potrebbe essere veramente la chiave di svolta per l’inclusione e l’accoglienza, perché ci permette di vedere l’immigrato che ti arriva non come colui che ti sta portando via chi lo sa che cosa, ma colui che ha delle difficoltà, colui che ha però anche una dignità e pensa di poter essere anche utile alla comunità.
Lo abbiamo visto anche in altri territori, io guardo la televisione qualche volta e ho visto un documentario dove le donne che vengono dal Senegal, in territorio calabrese, stanno facendo rivivere gli antichi mestieri di quel paese, imparando dalle signore che non sapevano più a chi dare questa tradizione.
Allora secondo me vale per i giovani, per i fragili, però io non mi dimenticherei che anche gli immigrati sono dei fragili.
Poi è vero che dentro quel mondo c’è di tutto e di più e sta a noi scoprire le mele non proprio perfette, però se noi non diamo a queste persone la possibilità di sentirsi responsabili, forse il verme della mela non perfetta può andare anche a intaccare la mela che sarebbe buona da mangiare.
Ecco, io penso che voi, a parte i comuni, ma anche la sinergia tra comune, Terzo Settore funzionale all’altro, sia importante anche per dare sicurezza, perché laddove poi queste persone lavorano e si impegnano, non diventano persone per le quali gli italiani si fanno venire il mal di pancia e non li vogliono più come vicini di casa.
Ecco questo è quel piccolo contributo che posso darvi.
Marica Guiducci – Presidenza Nazionale Auser
Io vorrei fare una premessa e soffermarmi su due aspetti legati ai lavori socialmente utili.
La premessa è che nel nostro Paese, noi tutti lo sappiamo, non abbiamo una buona esperienza riguardo ai lavori socialmente utili. Sono nati, qualcuno ricordava, intorno agli anni 80, e sono diventati sacca di disoccupazione mascherata, di lavoro non qualificato, di lavoro nascosto dietro l’aggettivo sociale, che poi era di fatto un lavoro poco dignitoso e un lavoro che non prevedeva anche gli strumenti per uscire da quella condizione di dipendenza dalla collettività generale, per trovare una propria collocazione in un ruolo effettivamente utile e quindi redditivo per tutti. Questa è stata la nostra esperienza in Italia, purtroppo, un’esperienza che ha guardato alcune regioni, che poi noi conosciamo, abbiamo faticato per uscirne, non vorrei ritrovarmi nella condizione per cui dietro al tema del sociale si vanno ad annidare poi debolezze strutturali del nostro Paese.
Per quanto riguarda il tema, entrare nel vivo dell’attualità, che riguarda soprattutto questa proposta che viene dal Ministero degli Interni, con una lettera che va a tutte le prefetture e chiede il coinvolgimento delle associazioni di volontariato per promuovere il volontariato, i lavori socialmente utili, di migranti che sono stati allocati in quei comuni, noi ne abbiamo parlato nell’Auser, ne abbiamo ragionato e abbiamo pensato che è una questione che va maneggiata con molta, molta cura, per tante ragioni.
Permettetemi una piccola premessa, io penso che la società civile, noi che siamo qui, che ci sentiamo in un orizzonte di valori, abbiamo anche la responsabilità di rifondare una nuova idea di convivenza civile, un’idea che si fonda anche su una revisione del linguaggio, perché nel linguaggio si annidano stereotipi, il linguaggio contribuisce a veicolare i comportamenti; rispetto all’immigrazione e ai flussi migratori, spesso si parla di esodo, dobbiamo ristabilire un piano di realtà che non ci faccia sentire il Mediterraneo come qualcosa altro da noi, qualcosa di lontano da noi, non legato alla nostra storia, alle nostre radici, all’attualità dei nostri commerci, dello sfruttamento delle risorse, dell’oggi. Il Mediterraneo è qui, sono le nostre origini, è la nostra storia, è il nostro presente, c’è un filosofo francese, Edgar Morin, che ha scritto un libro molto interessante, io l’ho letto con passione, di grande e facile lettura, che si chiama “La nostra Europa” dove afferma che il Mediterraneo dev’essere salvato dall’Europa, perché se l’Europa non salva il Mediterraneo perderà se stessa e ancora che ci vorrebbe un Piano Marshall, come fecero gli Stati Uniti, per salvare l’Europa, verso il Mediterraneo, per mettere al sicuro la fortezza Europa, quella che noi stiamo erigendo.
Ritorno ai lavori socialmente utili dopo questa premessa che sentivo doverosa. In questa circolare del Ministero degli Interni verso le prefetture, si sollecitano le associazioni di volontariato e noi ci siamo domandati come coinvolgere i profughi, che poi sono 181mila. Ecco, ristabiliamo il piano di realtà, nel 2016 sono sbarcati sulle coste italiane 181mila profughi, il 20-25% di questi trovano dei canali istituzionali, sappiamo dove sono, sono censiti, il resto, il 75% finisce nei rivoli della prostituzione, del lavoro schiavistico, del lavoro sfruttato, non dignitoso oppure della microcriminalità. Allora, noi tutte le volte che ci è stato chiesto, oppure abbiamo deciso spontaneamente di coinvolgere profughi e migranti nelle nostre attività, abbiamo voluto come prima cosa corsi di alfabetizzazione alla lingua italiana che servono al permesso di soggiorno, abbiamo voluto che fossero coinvolti in attività che sono le nostre attività, non la pulizia dei giardini; se sono affidati all’Auser queste persone fanno le stesse cose che fanno i volontari dell’Auser, Filo d’argento, se c’è da fare un orto si va tutti insieme all’orto, l’assicurazione, altrimenti le regole le scriviamo soltanto per lasciarle vuote di contenuto.
Noi sappiamo che queste persone non vengono in Italia per fare i lavori socialmente utili, altrimenti rischiamo di andare da una carità pelosa alla segregazione, al rifiuto. Noi sappiamo che se ci prendiamo carico di queste persone, che sono qui per trovare una prospettiva, allora tanto vale affrontare il problema fin dal momento in cui ci troviamo a gestirlo, altrimenti sarà un boomerang e ce lo ritroveremo più avanti da affrontare.
Un’altra cosa, l’Auser, insieme ad Ada e Anteas, in questi anni ha lavorato perché fosse presentata in Parlamento una proposta di legge sull’invecchiamento attivo. Questa proposta di legge non è ancora legge, noi vorremmo che fosse approvata all’interno della legislatura. Lì c’è un’idea di come noi immaginiamo il lavoro socialmente utile. Si prevede e si riconosce il ruolo delle persone della terza età nella nostra società e pensiamo, e si prevedono, progetti socialmente utili, di intervento culturale, di intervento ambientale, con il riconoscimento della loro attività attraverso occasioni gratuite di formazione, occasioni gratuite di partecipazione ad attività ricreative e culturali, e un buon pasto che non disturba, perché tutti quanti amiamo la buona cucina, ecco questo mi sembra un buon modo per immaginare un’attività sociale in cui venga rispettata la dignità della persona.
Eleonora Proni – Sindaca di Bagnacavallo, Responsabile di Politiche socio-sanitarie, Immigrazione e Prog. Riorganizzazione ASP per l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna
Andando verso la chiusura, poi lascio ovviamente a Valentina l’ultimo intervento, anch’io mi soffermo proprio a titolo sui due aspetti, perché prevalentemente tutta la questione si può sintetizzare in queste due macro questioni.
La prima l’ha esplicitata bene Costantino Ricci, la consapevolezza della contraddizione che c’è su tutto il tema del lavoro socialmente utile. Questo non vuol dire che non va percorso, anzi, in una società che si guarda con i problemi, con le forze che ha e con i limiti che ha, il tema della cura del territorio da un lato, tutti i bisogni che la società ha da un lato e tutte le persone che hanno bisogno di acquisire competenze, di essere ripresi in un percorso che li tenga insieme, deve portare a un risultato positivo ed evitare quelle contraddizioni che invece ci sono e su questo io credo che ci sia davvero una responsabilità un po’ di tutti i protagonisti, di capire come raggiungere questo difficile punto di equilibrio.
L’altra è ovviamente la questione dei richiedenti protezione internazionale. Noi come Unione della Bassa Romagna abbiamo approvato proprio la settimana scorsa, in Consiglio dell’Unione, un bando, che è in via di pubblicazione, rivolto a tutte le esperienze di associazionismo, di cooperazione sociale, agli enti, quindi anche ai comuni stessi, all’Unione e alle ASP, per la presentazione di progettualità nelle quali potere inserire queste persone, con un duplice obiettivo, lo diceva anche il Sindaco De Pascale in premessa, da un lato quello di impiegare, coinvolgere queste persone, che sono quasi esclusivamente persone molto giovani, anche disorientate, anche qui ci sarebbe da fare un ragionamento molto più complicato, molto più lungo, sul livello di preparazione, di competenza, di formazione con la quale arrivano ed è diversissimo, è frantumato, dipende da dove vengono, il periodo, i contesti storici e geografici, quindi è difficile anche fare dei progetti che possano mettere insieme persone con dei livelli assolutamente non comparabili, quindi anche a seconda delle persone presenti nei singoli territori devi costruire un progetto che si rivolga a loro; sono comunque persone giovani che sono qui e che devono trovare anche una motivazione dell’impiego e della copertura di un tempo-giornata, ma anche per acquisire una consapevolezza del percorso che stanno facendo. E poi c’è un altro aspetto dove non bisogna essere cinici, ma che soprattutto ha un ruolo pubblico e anche politico, da tenere assolutamente in considerazione, quello di accompagnare la comunità che accoglie rispetto a un percorso di conoscenza di questo fenomeno e delle singole persone che lo compongono, per capire come coesistere, perché se è vero che, sempre per i motivi che dicevo prima, ci sono persone, forse più i gruppi del primo periodo, che sono qui e aspettano solamente di essere esaminate dalla commissione perché hanno percorsi di vita rivolti altrove, dopodiché, quello che è successo in Europa, la chiusura delle frontiere, tutta la chiusura che alcuni paesi hanno prodotto fa sì che invece le persone che sono attualmente qui probabilmente si pensano o siano costrette a pensarsi in una dimensione anche di permanenza, io credo che abbiamo tutti anche la convenienza di capire come queste persone possano acquisire consapevolezza, conoscenza, competenza per poi, non mi ricordo chi lo diceva, prima di me, anche il tema di esperienze di volontariato dove comunque vengono trasmesse anche competenza, penso anch’io alle professioni legate un po’ al mondo dell’artigianato, quelle piccole cose; io nel mio Comune ho un piccolo gruppo di persone che si è messa a riparare biciclette, perché se la prendiamo tutta quanta nella sua dimensione è una partita difficilissima, però se la caliamo, come abbiamo cercato di fare in questo territorio provinciale, con una suddivisione nei territori in quota parti in base al numero degli abitanti, con una gestione pubblica molto responsabile e molto presente, con un coinvolgimento del protagonismo del volontariato e della cooperazione, secondo me si riescono a costruire dei piccoli percorsi, delle piccole cose che fanno anche meno paura e che forse hanno anche qualche potenzialità in più di essere realizzati.
Valentina Morigi – Assessora a bilancio, partecipazione, servizi sociali, casa, politiche giovanili e immigrazione del Comune di Ravenna
Nel Comune di Ravenna esiste una convenzione, che ogni anno viene rinnovata, con le associazioni Ada, Auser e Anteas, che noi non abbiamo chiamato la convenzione per i lavori socialmente utili, l’abbiamo definita per le attività di utilità sociale, perché, a proposito di restituire un senso alle parole, la differenza tra ciò che è una prestazione di servizio e un lavoro e ciò che invece è un’azione di cittadinanza attiva e di volontariato, sta proprio in questo, nel fatto che l’ente pubblico non chiama il volontariato a fare, ad un costo inferiore, con meno tutele, senza contributi, rivolgendosi solo ad una fascia che magari ha bisogno di integrare una pensione o un piccolo reddito, non chiamiamo queste persone a fare delle prestazioni di servizio; chiediamo al volontariato, che è radicato sul territorio, che ha un orecchio verso il territorio, che ha la capacità di coinvolgere un numero di persone maggiore rispetto a quanto possa fare una pubblica amministrazione con i propri uffici molto legati a burocrazia che difficilmente riusciamo a superare, perché bisogna che smettiamo anche di raccontarci le bugie, oggi le pubbliche amministrazioni hanno dei vincoli di assunzione, sempre meno personale, sempre meno capacità anche di prestare ascolto al proprio territorio, lo dico perché da amministratrice e qui c’è un amministratore regionale, qui c’è una sindaca, il mio sindaco è andato via da poco, è una lotta quotidiana riuscire a garantire le stesse prestazioni anche in termini di ascolto del proprio territorio nella situazione in cui siamo oggi come enti locali e in cui ci troviamo da troppi anni; il volontariato ascolta i bisogni e precorre le soluzioni, grazie al volontariato e nel volontariato i bisogni futuri arrivano prima, li ascoltiamo prima, siamo in grado di intercettarli prima, riusciamo forse anche a dare qualche risposta in termini di utilità sociale, che spesso si trasformano poi, nel corso del tempo, in azioni di prestazioni di servizio che fanno altre persone, che vengono messe a bando con una manifestazione di interesse e diventano lavoro, ma il valore aggiunto del volontariato è questo qui: è un’attività che intercetta il bisogno nel territorio ed è in grado anche, sul momento, quando il bisogno si manifesta, senza attendere i tempi spesso biblici della pubblica amministrazione, di farsi carico di quel pezzettino di bisogno, di precorrere i tempi perché una risposta strutturata avvenga. Non può essere, non deve essere una prestazione di servizio mascherata o un lavoro che qualcun altro svolge ad un costo inferiore rispetto al mercato, perché allora sì andremmo a consumare il conflitto generazionale, con un quadro di disoccupazione come c’è oggi, quindi nel nostro Comune noi il termine lavoro socialmente utile non lo usiamo, usiamo il termine attività di utilità sociale.
Le attività di utilità sociale, i tirocini, l’applicazione nella formazione oggi sono al centro di una revisione profonda del Welfare. Fino a ieri, quando la crisi non mordeva nei nostri territori, ante 2011 qui a Ravenna, ma 2008 in questa parte di mondo, il servizio sociale era una prestazione che riguardava l’assistente sociale e il poveretto che andava dall’assistente sociale, erano in un numero, a queste latitudini del Paese, tutto sommato limitato, purtroppo spesso casi cronici per cui era il nonno che era a carico dei servizi sociali e poi il genitore e poi il figlio, una sorta di assistenza che si tramandava da generazione in generazione ed era un problema in cui tutto sommato chi stava bene e qui nel nostro territorio chi stava bene, e io spero ancora oggi, è più, fortunatamente, di chi bene non ci sta, non se ne occupava, era una prestazione del servizio che svolgeva l’assistente sociale, un dialogo a due tra chi aveva il bisogno, il poveretto, e l’assistente sociale. Questo modello è fallito. Non tiene più. Questo modello non tiene più perché dal 2008 e qui da noi dal 2011, come ci ricordano i dati che ha costruito anche la CGIL, il bisogno sociale sta esplodendo.
In questo quadro tutti gli strumenti del Welfare che stanno venendo avanti, non ultimo il RES, approvato ieri pomeriggio in Regione Emilia Romagna, dicono che c’è un paradigma che va ribaltato, il bisogno sociale non può più essere un problema del poveretto e dell’assistente sociale, ma è un problema della comunità, in attesa che ci sia finalmente una linea nazionale che cominci a fare un ragionamento diverso, di spostamento diverso del carico della tassazione, che vada più sul patrimonio e meno sull’IRPEF, in attesa di politiche generative sul lavoro, nel nostro Paese, ma nel nostro continente, il Welfare pro-attivo ci sta dicendo che il modello che abbiamo conosciuto fino ad oggi non regge più. Allora o il bisogno sociale diventa un problema di tutti, anche di chi sta bene o domani sarà veramente un problema di tutti, anche di chi oggi sta bene e domani non starà più bene.
In questo senso le attività di utilità sociale sono uno strumento non per chiedere a chi si rivolge ai servizi sociali di tagliare l’erba in cambio dei 100 euro o del pagamento della bolletta, perché questo sarebbe offensivo, a proposito di dignità delle persone, ma di proporre di stare in quadro insieme, di decidere che il carico sociale non se lo prende solo l’assistente sociale, ma che si può mettere insieme un percorso formativo con il centro per l’impiego, che si può provare a ragionare su un tirocinio formativo di una piccola azienda che magari è nel territorio, che si può provare a fare in modo che un’associazione che è forte sul territorio impegni, conosca, introduca queste persone, per fare insieme un pezzo di percorso e questo riguarda anche i richiedenti protezione internazionale.
Noi abbiamo pubblicato la scorsa settimana il bando per l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, abbiamo messo, molto prima che ci fosse un obbligo normativo a farlo, l’orientamento di inserire i richiedenti protezione internazionale in percorsi di attività di utilità sociale, di volontariato e di cittadinanza attiva per due ragioni, le ha già dette la sindaca Proni e io le sottoscrivo, mi permetto di aggiungerne altre due. La prima è che questo modello di accoglienza è un modello che non sta funzionando. La prima accoglienza dovrebbe avere una durata limitata nel tempo. Il 50% di chi arriva sta qui 6 mesi, l’altro 50% sta un anno, avrebbero le condizioni di poter raggiungere altri paesi, dove magari ci sono i loro parenti, gli amici, avrebbero le condizioni di potersi muovere, ma questo modello è un modello che li ingabbia per questa durata media.
Nel lasso di tempo in cui queste persone arrivano, come diceva Eleonora, con delle energie, con dei bagagli culturali, con delle competenze, chi più chi meno, o decidiamo che stanno chiusi in un appartamento, così non li vediamo, così non ci danno fastidio, li teniamo chiusi là, l’importante è che non facciano dei disastri, o decidiamo invece che per il periodo di accoglienza che stanno qui diventano parte della nostra comunità e li accogliamo anche noi, e anche noi ci mettiamo nelle condizioni di dirci che anche loro sono delle parti attive del nostro paese, della nostra città, della nostra frazione, e anche a loro chiediamo di occuparsi di noi, di occuparci tutti insieme, di farci carico di quell’aspetto pubblico di cui parlavamo prima, in cui pubblico siamo tutti, non c’è solo qualcuno che è pubblico e qualcun altro che invece è libero di non esserlo, in cui pubblico lo siamo tutti.
Per questa ragione io mi aspetto una grande collaborazione dei comitati cittadini, per esempio, nei territori, delle istituzioni e anche delle associazioni di volontariato e in particolar modo di Auser, di Ada e di Anteas, che da tanti anni con il Comune di Ravenna hanno una convenzione in essere sulle attività di utilità sociali.
Al di là dei legittimi pensieri e delle valutazioni che si possono fare, mi aspetto che ci sia un grande ponte di collaborazione per i cittadini che avranno accesso al RES, al reddito sociale, per i cittadini che avranno accesso al SIA, allo strumento di inclusione attiva, per i cittadini che vengono qui con un modello C3 in mano per la richiesta di protezione internazionale.
Mi aspetto questo tipo di collaborazione perché siete i più strutturati, avete attività in tutto il territorio comunale ed è il secondo comune più grande d’Italia, con un raggio chilometrico che non ha eguali nel nostro Paese, e voi ci siete, siete presenti con i vostri progetti che come diceva la Presidente nella sua relazione, progetti che ci parlano di noi, del presente, ma soprattutto di come vogliamo costruire il futuro e di come vogliamo che questo futuro non sia un futuro esclusivo per qualcuno che è arrivato, che sta bene e che è a posto, lanciando indietro qualcun altro, ma un futuro invece, che parta dal presupposto che noi, in questa città, in questo territorio, indietro non lasciamo nessuno.