Mercoledì 22 febbraio 2017, presso l’Hotel Cube di Ravenna, si è tenuto il Congresso Auser Territoriale Ravenna, nell’ambito degli incontri per il IX Congresso Nazionale Auser, dal titolo “Insieme Sempre più forti. La cittadinanza non ha età”.
Il Congresso di Ravenna è stato aperto da un toccante discorso di Michele De Pascale, Sindaco di Ravenna e Presidente della Provincia di Ravenna
Grazie a tutti, è veramente un piacere essere qui questa mattina per darvi il saluto da Sindaco e a nome di tutti gli amministratori della provincia di Ravenna, per questo vostro momento. Per me è anche la prima occasione per fare, insieme a voi, qualche riflessione sul lavoro che stiamo provando a fare e sugli obiettivi che, mi sento di dire, insieme stiamo cercando di mettere in campo per la nostra comunità.
Il ruolo del volontariato, il ruolo di Auser, in questa città è forse il motore di cui i nostri cittadini vanno più orgogliosi. Ravenna è una città di lavoro, una città con una rete di servizi ricca, forte; però siamo tutti consapevoli che anche questa rete di servizi, che il pubblico ha saputo costruire negli anni, oggi non sarebbe assolutamente in grado di dare risposte di qualità a tutti i cittadini, se questo non avvenisse in un rapporto, non solo di collaborazione, che sarebbe poco, ma quasi di simbiosi con la rete del mondo del volontariato ricchissima che la nostra città e la nostra provincia hanno saputo costruire.
Ci stiamo ponendo sfide nuove, sfide molto complesse sulle quali o tutta la comunità decide di investire, di crederci, oppure non abbiamo speranza di ottenere risultato.
La prima riguarda portare o riportare servizi in tutto il territorio comunale di Ravenna, in tutti i luoghi della nostra città e della nostra provincia. Tutte le amministrazioni comunali stanno lavorando alla rete delle Case della salute; abbiamo inaugurato quella di Sant’Alberto, a Ravenna, eravamo gli ultimi a livello provinciale rispetto a questo servizio, a breve apriremo quella di San Pietro in Vincoli; non ci fermeremo, ne andranno aperte altre. Le Case della salute che non sono solo i medici di medicina generale che si riuniscono in un luogo solo, ma sono un luogo attivo di salute per i cittadini e funzionano solo se poi c’è una rete di cittadini attivi che informano, che aiutano il trasporto, che permettono alle persone di comprendere quanto sia importante non solo intervenire quando si ha una patologia conclamata, ma avere un controllo costante, quotidiano, tenere monitorati i propri valori; quindi una salute, un sociale che non è solo dare risposta a chi viene a bussare alla nostra porta, ma andare a bussare a delle porte, perché sappiamo che oggi la crisi ha portato anche tante famiglie, che non sono le famiglie avvezze, abituate alla relazione con i servizi, ma sono forme di nuove povertà, dobbiamo chiamarle con il loro nome, persone che fino a cinque, sei, sette anni fa non avrebbero mai pensato di potere aver bisogno di aiuto, ma che invece la crisi ha gettato in una condizione di bisogno e che spesso hanno anche quasi una forma di pudore o di non conoscenza della rete dei servizi. Questo è un lavoro enorme da fare, non si può solo aspettare nelle sedi dell’amministrazione comunale chi viene a mettersi in fila per chiedere un servizio, bisogna cercare anche di capire come informare i nuovi cittadini, come informare le nuove persone, come informare le famiglie di quali risposte possono trovare e ovviamente anche concepire servizi nuovi che diano risposta a bisogni che cambiano.
L’altro grande dramma che la nostra società sta vivendo è il tema dei flussi migratori, che sta diventando il tema della nostra epoca, che fra 50 o 60 anni verrà identificato come quello che ha caratterizzato il tempo che viviamo. Qui fra di noi, e dico fra di noi nel senso di chi ha una cultura della solidarietà e chi ha una cultura del rispetto delle vite umane di un certo tipo, dobbiamo essere chiari, l’unica speranza contro il razzismo e la xenofobia è la capacità di gestione, non ci sono altre armi, nel breve periodo, per saper fronteggiare l’ondata che stiamo vivendo in tutto il mondo, di individualismo, di egoismo, di razzismo, di paura, che sta divampando nelle nostre comunità. I sindaci di solito scappano di fronte a questo tema, si nascondo, rimpallano alla Prefettura che è competente. Gli amministratori della provincia di Ravenna, e lo dico con orgoglio, hanno fatto la scelta opposta, anche se non sarebbe compito nostro, anche se se ne dovrebbe occupare la Prefettura, noi abbiamo chiesto alla Prefettura di farci gestire questo servizio, perché dobbiamo essere capaci di creare relazioni col mondo del volontariato, col mondo della società civile, di dare un senso alla permanenza di queste persone nel nostro territorio, che ci sono, che ci saranno, perché al di là dell’evoluzione delle normative, quando centinaia di milioni di persone vivono in condizioni di fame, di povertà, di guerra, in qualsiasi epoca della storia, queste persone si spostano, lo abbiamo fatto noi e ora lo fanno altri; considerate che oggi il tasso di fecondità in Italia è 138, quindi noi di generazione in generazione più o meno ci dimezziamo come numero di bambini nati, nell’Africa sub-sahariana il tasso di natalità è tra il 6 e il 7, queste sono le proporzioni dei fenomeni che abbiamo. Noi romagnoli siamo abituati, oltre che a chiedere, intanto, a fare le cose. Dobbiamo costruire un sistema ancora più efficiente di quello che abbiamo oggi e quì il mondo del volontariato, Auser, abbiamo bisogno che sia insieme a noi in questa sfida così complicata, perché la paura dei cittadini è una cosa vera, c’è, non va affrontata con disprezzo, va affrontata con dialogo, comprensione, racconto, discussione; noi in provincia di Ravenna abbiamo ospitato in questi anni un migliaio di persone, richiedenti asilo e lo abbiamo fatto da un punto di vista gestionale con grande efficienza, adesso abbiamo bisogno di fare un salto di qualità nelle relazioni e in opere di coinvolgimento di queste persone nella vita sociale e civile della nostra comunità e quindi rapporti col mondo del volontariato, corsi per apprendere la lingua, corsi per apprendere delle professioni e guardate, in questo sono chiaro, non perché uno si debba pagare l’accoglienza, perché l’Italia non è un albergo, qui noi stiamo parlando di diritti, non di carità, però il tema è uno, che se vogliamo porci il tema di traguardare questo fenomeno e di trasformarlo da una paura in qualcosa che invece si integra nella nostra società, il volontariato è l’unica grande arma, l’unica carta che possiamo pensare di giocare, perché lo abbiamo visto, quando nelle comunità chi veniva ospitato restituiva, aiutava la sagra del paese, faceva alcuni lavori nella scuola, raccontava la propria storia, perché spesso noi non conosciamo neanche le storie, qui dentro ci sono molte persone che hanno avuto un racconto diretto da chi aveva vissuto la guerra, ormai chi l’ha vissuta direttamente sono sempre meno, pensate ai nostri figli che non sanno cosa vuol dire la fame, non sanno cosa vuol dire la guerra, pensano che siano film queste cose, non elementi reali della vita delle persone, ecco, quando siamo stati capaci di fare questo abbiamo invertito il fenomeno, la paura è diventata un ragazzo che stava riparando la cancellata di una scuola, la paura è diventata un ragazzo a cui insegni la lingua italiana come volontario e questo, insieme a tutte le politiche di gestione, insieme a tutto il resto, che ci dev’essere, è forse l’unica carta che abbiamo. Guardate l’alternativa ce l’abbiamo già: abbiamo la Francia. La Francia è avanti a noi di un secolo in tema di immigrazione, hanno fatto le banlieue, gli hanno costruito dei quartieri per loro, hanno creato comunità separate all’interno dello stesso Paese e dopo un secolo ragazzi di terza generazione, nipoti di chi era emigrato, non si sentono francesi, ma si sentono ancora appartenenti a qualcosa che non hanno mai visto né conosciuto; quindi la risposta nazionalista, sovranista, di chi ha quella cultura lì, non solo è disumana e sbagliata, ma molto più grave, non funziona, produce più problemi, più paura, più tensioni, più violenza di quello che già oggi il fenomeno rischia di portare.
Abbiamo alcune grandi sfide, sui servizi delle fasce più deboli della nostra comunità e su sfide enormi, che non so se riusciremo a vincere, perché sono enormi, gigantesche, di portata storica, ma se abbiamo una speranza di vincerle è che istituzioni e mondo del volontariato, mondo della solidarietà, mondo che si impegna senza chiedere nulla per il bene della propria gente, della propria terra, suonino come un’unica orchestra. Questo è il nostro obiettivo e so che abbiamo a fianco degli interlocutori straordinari che già fanno tanto, ma che sono sicuro troveranno il modo di fare ancora di più.
Grazie mille.