«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare»
(Martin Niemöller)
Parlare di paesaggi umani e di tracce migranti in un momento come questo, diventa un dovere da parte di chi fa informazione, perché è evidente che bisogna fare qualcosa per contrastare la deriva violenta di una comunicazione sempre meno fondata sui fatti e sempre più basata su maleodoranti pance che non fanno altro che tirare fuori odio e intolleranza.
Ecco perché torniamo a parlare, anche in questo numero, di questo importantissimo volume, che ora è anche una splendida mostra fotografica, a cui anche Auser Ravenna ha contribuito. Un’opera che ripercorre la storia dei movimenti migratori, nella provincia di Ravenna, a partire dal 1998, cercando di analizzare i profondi mutamenti avvenuti negli anni nella società e in particolar modo nella nostra regione.
Il libro, lo ricordiamo, è un lavoro collettivo curato da Maurizio Masotti, con le fotografie di Luca Gambi e Luciano Nadalini e i testi, coordinati da Carla Babini e redatti da Masotti, Carla Babini, Francesco Bernabini, Marina Mannucci e Paolo Montanari, che porta avanti e amplia il lavoro cominciato una decina d’anni fa, con il volume fotografico “La vita degli altri”, curato da Masotti insieme a Sokol Palushaj, sempre con le immagini di Gambi.
In questo volume i testi accompagnano immagini scattate a Ventimiglia, in Liguria e a San Ferdinando, in Calabria, due località tristemente note, nel 2018, per avvenimenti che hanno scosso violentemente l’opinione pubblica, due luoghi di confine scelti come simbolo della situazione italiana, ma anche come sintesi, dato che si trovano agli estremi geografici della penisola. Altre immagini invece sono state selezionate tra quelle conservate dai migranti stessi; tracce del passato, ma anche del presente, raccolte in un’apposita sezione intitolata “Album di famiglia”, che fanno da collante ai testi, tra i quali spicca quello di Montanari, che analizza i flussi migratori dal punto di vista numerico, riportando dati e facendo confronti che chiariscono molte cose.
Il progetto è stato presentato il 19 novembre 2018 a Ravenna e da lì ha preso il via un tour che ha toccato diverse località in provincia e fuori. Dallo scorso 15 maggio il libro è diventato anche una mostra fotografica, che in giugno e luglio è stata ospitata presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles e che proseguirà il suo viaggio in Europa e in Italia.
Il libro è stato presentato anche al Circolo Auser Bocciofila di Massa Lombarda, lo scorso 20 febbraio ed è lì che ho avuto modo di incontrare e intervistare Maurizio Masotti, Luca Gambi e Marina Mannucci.
Luca si è fermato una settimana a Ventimiglia e una a San Ferdinando e ha avuto esperienze molto diverse, a tratti contrastanti. Nel paesino ligure infatti i migranti sono molto più inseriti all’int4erno del contesto cittadino e trovano una grande solidarietà da parte di tutta la società civile che è coinvolta insieme a parrocchia e Caritas a dare continua assistenza a queste persone. A San Ferdinando invece la situazione è completamente diversa, i migranti sono completamente emarginati, e la popolazione locale è addirittura ostile.
«Lo stesso paese è inquietante, è una roccaforte della criminalità organizzata e questo è molto evidente anche a livello estetico. In paese i migranti sono proprio odiati e questo mi ha sorpreso, anche perché comunque si tratta di persone che lavorano e che ogni giorno percorrono tantissima strada a piedi per andare a lavorare; è una situazione veramente estrema».
Marina Mannucci, che ha contribuito ai testi del volume è partita, per il suo racconto, dalla propria esperienza diretta, avendo vissuto in prima persona l’emergenza dell’accoglienza.
«Ho ascoltato i racconti delle persone, i singoli racconti che poi, tutti insieme, ci riportavano alla storia, ed è per questo che mi chiedo come possa esserci sfuggito tutto questo!
L’importanza di questo lavoro, secondo me, è soprattutto l’apporto dell’immagine, che è più potente della semplice parola. Le fotografie, per fortuna, oltrepassano la parola e siccome in questo periodo le parole sono tante e soprattutto spesso sono slogan, si rischia di usare le orecchie non più per un ascolto che va alla comprensione, ma come semplice strumento per fare entrare qualcosa che, in realtà, non ascoltiamo più, che non prende più il nostro immaginario, non ci cattura più, non ci rende più partecipi della vita; l’ascolto è qualcosa di molto più profondo, che però in questo momento non funziona. Allora questo libro, attraverso le immagini, può superare questo ostacolo e magari raggiungere l’obiettivo, infrangere quel muro di gomma che ormai ci sta rimandando indietro qualsiasi pensiero che sia appena più profondo».
Il ricavato del libro è suddiviso al 50% tra UNHCR (Commissione Onu per i rifugiati) e Associazione Amici di Lourene, ma l’obiettivo principale resta quello di far conoscere ai giovani una realtà che troppo spesso non viene raccontata, perché gli interessi sono altri, ecco perché Maurizio Masotti, oltre agli eventi ufficiali, cerca di organizzare incontri con i ragazzi, per contrastare l’informazione approssimativa e le fake news o come mi ha detto molto in sintesi quando, a conclusione della nostra intervista, gli ho chiesto quale fosse l’importanza di questo progetto in un momento storico come quello che stiamo vivendo: «controinformazione, resistenza. Controinformazione, resistenza».
Per aggiornamenti sulla mostra consultare il sito di Maurizio Masotti