Continua il nostro modesto contributo ai progetti internazionali. Due sono i Paesi con i quali abbiamo instaurato, da qualche anno, una concreta e fattiva collaborazione: il Saharawi e il Senegal. A marzo con Rosa ed Elena sono tornata in Senegal. L’Africa o la ami o la odi! Così dicono tutti. In questa ricca esperienza di profondo scambio di relazioni e valore umano, ho voluto sfatare questo detto, cercando di portare in evidenza gli aspetti positivi e quelli negatividi questa meravigliosa terra.
Nonostante abbia una delle economie più stabili dell’Africa occidentale, il Senegal ha anche elevati tassi di povertà e disoccupazione, con circa la metà della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Il Paese combatte gli alti tassi di mortalità materna e infantile e si impegna nella lotta contro la malaria e altre malattie, ma il sistema sanitario nazionale non è in grado di fornire servizi essenziali a un grande numero di persone, in particolare nelle zone rurali.
Già nel precedente viaggio nel 2016 in collaborazione con altre associazioni di Ravenna del gruppo “Amici di Lourene” abbiamo gettato le basi in una idea progetturale a Kebemer per una “casa delle donne”. Il villaggio di Lourene si trova nella regione di Saint Luis, a 25 km. dalla Mauritania. A Lourene abbiamo coofinanziato il completamento della costruzione della scuola, l’istallazione di una pompa che porta l’acqua in superficie da un pozzo profondo 25 metri, che ha consentito di produrre un orto che produce molte verdure da soddisfare le esigenze del villaggio. È nostra intenzione portare avantila collaborazione, anche perchégli abitanti hanno partecipato attivamente al progetto con la mano d’opera e una piccola autotassazione, con l’istallazione di pannelli solari e l’acquisto di un mulino per il miglio.
A Kebemer il progetto è molto ambizioso, dopo l’incontro in assemblea siamo ancora più convintedella possibilità di realizzareuna “casa delle donne e dei bambini” per rafforzare il lavoro sociale delledonne, attraversoun luogo di incontro, di formazione e informazione, uno spazio aperto dovepromuovere interventi socio-sanitari a salvaguardia della salute delle famiglie, a sostegno e sensibilizzazione alla comunità di Kèbèmer, con particolare attenzione alla salute della madre e del bambino, ma anche dei disabili e per la prevenzione e cura della malnutrizione. Un centro “modello dispensario”che sia di promozione culturale e di assistenza socio-sanitaria in cui ognuno possa trovare una buona relazione e un servizio di primo accesso.
La nostra permanenza di dieci giorni è stata un turbiniodi idee, incontri, scambi, accoglienza. Da Dakar ci siamo trasferite a Kebemer ospiti della famiglia di Modou Gueye un carissimo amico che vive a Ravenna da oltre 30 anni. Qui come a Lourene abbiamo vissuto e conosciuto l’accoglienza e l’umanità con la U maiuscola, quella che ti fa sentire a casa non appena arrivi, che ti circonda sempre di persone incuriosite ma attente, di bambini timidi e un po’ spaventati, ma non appena incroci il loro sguardo si fidano, ti sorridono, si avvicinano e toccano la tua pelle bianca perché vogliono capire come mai sei così pallido. Nei villaggi non esistono le porte di casa, non esistono muri e barriere. Lì abbiamo capito cosa significa fare parte di un gruppo, condividere, essere sempre il benvenuto, essere sempre parte di qualcosa, non sentirsi mai soli. Il villaggio si prende cura di te e tu ti prendi cura di lui. I senegalesi sono disponibili, cordiali, non assillanti e soprattutto molto dignitosi. Certo sono molto poveri, ma ai nostri occhi sono apparsi molto sereni. È affascinante vedere come la tradizione e il patrimonio culturale possano essere collante tra le generazioni e quanto rispetto c’è verso gli anziani che sono considerati portatori di saggezza, una cultura antica e radicata di un popolo affascinante. Ci ha fatto riflettere come sia importante creare la rete senza alcun interesse di ritorno: tu sei un punto di riferimento per la comunità perché dev’essere così e basta, perché te lo senti dentro. «Si mangia tutti da un unico piatto».
I nostri amici Omar e Omar ci hanno accompagnato a visitare luoghi fantastici e quei colori, quei profumi e i sorrisi della gente, ancora li portiamo ancora nel cuore con nostalgia e un poco di malinconia. Le donne, sorelle accoglienti e solari, ci hanno accompagnato nei piccoli e particolarissimi mercati di tessuti, di spezie dei vari quartieri, ci hanno fatto assaporare i segreti della loro gustosa cucina e le varie particolarità di frutte che questa terra arida concede.
Una giornata l’abbiamo stata dedicata alla visita di Gorèe, raggiungibile in battello da Dakar. La storia dell’isola e il suo significato meritano soprattutto per i “bianchi” una riflessione profonda. L’isola appare improvvisamente dal mare con la sua aura di mistero. È pedonale, le case coloniali sono di un rosa o giallino pallido molto caratteristico e le stradine contornate di venditori artigianali e da magnifici baobab. La Maison des le eclaves (La casa degli schiavi) evoca il tormentato passato di questo luogo, crocevia per il passaggio degli schiavi dall’Africa all’America e all’Europa. I bianchi, perlopiù portoghesi, catturavano dall’entroterra africana gli indigeni, li imprigionavano all’interno della Maison e li imbarcavano verso il Nuovo Mondo. In stanze di ridotte dimensioni, prive di illuminazione ed umide venivano rinchiusi e stipati dai 30 ai 40 schiavi, nutriti con legumi per farli ingrassare in vista della traversata. Le persone con peso inferiore ai 60 kg venivano gettate in mare, perché non idonee al viaggio. Le donne, anch’esse rinchiuse in camerate comuni, potevano avere la libertà solo se rimanevano incinte dei loro aguzzini. Una stanza era dedicata anche ai bambini, che perlopiù morivano di stenti. Infine, struggente, la stanza dei “recalcitranti”: uno sgabuzzino senza finestre, anticamera della morte per gli schiavi ribelli, ove Mandela, durante la sua visita all’isola, nel commemorare il passato, pianse di dolore. Si narra che dallo spazio diretto sulmare, incuneato fra le stanze, venissero gettati i morti o gli inidonei, motivo per cui, in quel tratto di Atlantico, i pescecani fecero la loro prima comparsa.
Ci siamo recati a visitare anche la grande statua di bronzo, discusso e controverso simbolo di Dakar, il Monument de la Renaissance, statua del rinascimento africano, alto circa 50 metri, posto su un piccolo promontorio e raggiungibile da un’ampia scalinata. L’enorme statua rivolta verso il mare, raffigura un uomo che cinge una donna alla vita e con l’altro braccio solleva un bambino; è stata criticata per il suo costo, dai 9 ai 15 miliardi di franchi CFA (dai 15 ai 23 milioni di euro). Il pagamento è stato effettuato in natura con la concessione tra i 30 e i 40 ettari di terra concessi ad un uomo d’affari senegalese. A noi è parso un monumento bruttissimo, inutile, che testimonia un enorme spreco di risorse che potevano essere utilizzate per esempio per costruire le fogne che sono ancora a cielo aperto.
Siamo tornate più ricche, consapevoli del fatto che noi non potremmo mai vivere laggiù. Abbiamo conosciuto un mondo affascinante che ci ha aperto degli orizzonti di riflessione ma che deve ancora crescere sotto molti aspetti, che presenta i suoi limiti; ancora più convinte e tenaci che questa progettualità sarà sicuramente proficua è sarà una importante opportunità di scambio per un nuovo approccio alla vita per chi ci collabora.
Mirella Rossi