La babele dell’assistenza agli anziani nel nostro Paese
“Anziani non autosufficienti e integrazione sociosanitaria nei Piani regionali”
La nuova ricerca Auser presentata al X Congresso Nazionale
Roma Centro Congressi Frentani
18-19 novembre 2021
Il Congresso in diretta facebook al link https://www.facebook.com/auser.it
e sul sito www.auser.it
I non autosufficienti nel nostro Paese sono oggi 2milioni 996.000 un numero destinato a crescere nel futuro, nel 2045 potrebbero raggiungere una cifra variabile fra 4.296.000 e gli oltre 5milioni 500mila. Molto dipenderà dalle politiche di prevenzione che verranno realizzate.
Gli anziani non autosufficienti esprimono una domanda di assistenza e bisogni molto complessi a cui si riesce a dare risposta a fatica, un peso che le famiglie portano sulle loro spalle spesso in solitudine. Per essere all’altezza della sfida demografica che ci attende occorre mettere al centro la persona con i suoi bisogni (affettivi, sanitari, sociali, culturali); l’integrazione dei servizi di assistenza è una delle condizioni essenziali ai fini della qualità dell’assistenza sociosanitaria alla popolazione anziana non autosufficiente.
L’Auser con la ricerca di Claudio Falasca “Anziani non autosufficienti e integrazione sociosanitaria nei Piani regionali” presentata a Roma il 18 novembre in occasione del X Congresso Nazionale, ha messo sotto la lente d’ingrandimento i Piani sanitari e i Piani sociali delle regioni. Quello che emerge è una situazione allarmante sul fronte dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, una vera “babele” con grandi ritardi nell’integrazione dei servizi sociali e sanitari.
L’Italia vede la copresenza di 21 sistemi sociosanitari diversi, con rilevanti disparità nella fruizione di servizi fondamentali da parte dei cittadini. In media i Piani regionali hanno un generico valore programmatico, spesso senza misurare, senza dire chi, come, quando, con quali risorse verranno realizzate le misure previste.
L’analisi è stata realizzata quantificando il numero delle pagine dedicate ai temi principali trattati nei Piani. Le pagine dedicata agli anziani nei Piani regionali sono solo il 3%, le risorse dedicate agli anziani nei Bilanci regionali sono lo 0,2%.
Inutile infine la verifica del rispetto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni in ambito sociale (LEP) e del loro grado di integrazione con i servizi sanitari, in quanto, a più di 20 anni dalla loro introduzione, perdura l’assenza della normativa nazionale che ne garantisce l’esigibilità.
Ma uscire dalla “babele” si può. La ricerca Auser include una serie di proposte concrete per mettere ordine nel sistema dell’assistenza agli anziani e garantire ai cittadini da Nord a Sud gli stessi diritti e le stesse prestazioni.
Fotografia di un’Italia in decrescita demografica e sempre più vecchia
Siamo un Paese in forte decrescita demografica, si stima che nel 2045 la popolazione si ridurrà del 10,5%, arrivando a 53,7 milioni. La decrescita sarà diversa nelle diverse aree del Paese ne soffriranno soprattutto le aree interne e il Meridione. Per la prima volta gli uomini tenderanno a superare il numero delle donne. La decrescita modificherà i rapporti fra le generazioni con il progressivo aumento degli anziani e la diminuzione dei giovani. Nel 2045 gli over 65 saranno in media il 33,6% della popolazione.
Sempre più vecchi, con le fragilità legate all’aumento dell’età, e sempre meno caregiver familiari, nel 2045 l’indice di ricambio si ridurrà della metà. Inoltre molte famiglie rischiano la condizione di povertà come conseguenza della non autosufficienza.
Oggi gli anziani soli sono circa 4 milioni, il 74% degli over 65 ha meno della licenza media, hanno poca dimestichezza con i mezzi digitali e rischiano l’emarginazione; il desiderio di una vita autonoma nella propria casa e nel proprio quartiere è forte, ma sono ambienti sempre più ostili per le persone con limitazioni funzionali.
21 Regioni disorientate che si muovono in ordine sparso
Consapevoli delle trasformazioni demografiche in corso, le Regioni negli ultimi anni hanno prestato una crescente attenzione al tema degli anziani sia autosufficienti che non autosufficienti. sia sotto il profilo sanitario che sociale. Di questo impegno delle Regioni ne sono prova le centinaia di iniziative legislative, amministrative, regolamentari, finanziarie da loro promosse sul tema della assistenza agli anziani. Questa mole di lavoro è forse uno dei principali indicatori di disorientamento, in quanto espressione del tentativo comunque di trovare una soluzione, ma fuori da un indirizzo unitario condiviso a livello nazionale.
Per quanto riguarda i Piani Sanitari, in base al loro carattere si distinguono: in 3 Piani sanitari (Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento, Sardegna); 4 Piani sociosanitari (Valle D’Aosta, Friuli VG, Marche, Umbria); 6 Piani sociosanitari integrati (Lombardia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Basilicata); 8 Piani di rientro (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia).
Mentre i Piani sociali regionali in base al carattere si distinguono in: 1 Piano di Zona (Valle D’Aosta); 6 piani integrati sociosanitari (Lombardia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Basilicata); 7 Piani sociali regionali (Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria); 7 Linee guida o di indirizzo (Piemonte, P. A. di Bolzano, P. A. di Trento, Friuli V.G., Marche, Sicilia, Sardegna).
Risposte inadeguate ai bisogni degli anziani non autosufficienti. Tutti i limiti dei Piani regionali
Quanto emerge dalla ricerca è un sistema di assistenza per i non autosufficienti profondamente inadeguato e differenziato nei livelli di copertura dei servizi, sia a livello nazionale che all’interno delle singole regioni. Una realtà venuta alla ribalta in modo chiaro e drammatico nel corso dell’emergenza sanitaria.
Le principali criticità messe in luce dall’analisi dei Piani sono:
– Una cultura del “Piano” molto approssimativa.
Piani con in generale uno scopo d’immagine a dimostrare che la Regione si prende cura degli anziani, ma nel merito abbastanza privi di sostanza. Sono approssimativi, solo in pochi casi vengono indicati specifici obiettivi, il soggetto responsabile, i tempi di attuazione, le risorse necessarie. In altri casi prevale un impianto troppo burocratico.
– Limiti nella comprensione della complessità della domanda.
Si conosce poco e male il profilo sociosanitario della popolazione a cui si dovrebbe fornire risposte e servizi.
– Pesante frammentazione istituzionale centrale e periferica.
A fronte di un processo di aggregazione e rafforzamento delle strutture del sistema sanitario, lo stesso non è avvenuto in quello sociale. Il numero dei comuni circa 8mila è molto elevato e il fatto che la titolarità della funzione sociale sia ad essi assegnata rappresenta di per sé una criticità perché frammentata su un così grande numero di enti.
– Una governance dispersiva ed eterogenea.
La varietà dei modelli organizzativi e l’eterogeneità delle forme di gestione è una delle cause che non favorisce l’integrazione. Numerose regioni (12 su 21) hanno ritenuto opportuno unificare l’assessorato alla salute con quello delle politiche sociali. La cosa è di grande rilievo in quanto assicura all’area in cui si colloca l’assistenza sociosanitaria una direzione politica unitaria. Notevoli sono stati anche i progressi nel far coincidere i Distretti sanitari con quelli sociali. Tuttavia nelle diverse realtà regionali, in particolar modo alla gestione della funzione sociale (istituzionalmente in capo ai Comuni) c’è una grande varietà di modelli (convenzioni, consorzi, unioni, aziende speciali, delega alle ASL) e ciascuna forma gestionale scelta è spesso differente anche se nominativamente medesima (i consorzi, così come le unioni dei comuni, ad esempio, sono molto diversi fra di loro, per dimensioni, per la concreta responsabilità nella gestione dei servizi – su tutto o solo su parte dell’attività, ecc.).
– Forte squilibrio tra strutture sanitarie e sociali. L’integrazione è affidata alla buona volontà degli operatori.
– Nella prevenzione prevale un approccio prestazionale.
Nel loro complesso i piani dedicano alla prevenzione il 6,2% del loro spazio. I piani sociosanitari integrati il 15,4%, i Piani sanitari e sociosanitari il 27%, i Piani di rientro, l’8.3%, i Piani sociali il 13%, le Linee guida e gli indirizzi il 7%, il Piano di zona il 3%. Da notare come i Piani dell’area sociale dedichi una minore attenzione al tema della prevenzione, in particolare 3 su 6 Piani sociali e 4 su 6 Linee guida e indirizzi per la redazione dei Piani di zona non dicono nulla nel merito.
– I distretti sociosanitari invisibili e indeterminati.
Il Distretto sociosanitario dovrebbe essere il riferimento territoriale dell’integrazione sociosanitaria, nella realtà è una struttura poco visibile, ambigua e indeterminata.
Nei servizi sociosanitari distrettuali non si comprende perché per il Punto Unico di accesso, la presa in carico, la valutazione multidimensionale, il piano di assistenza individuale non si possano concordare modelli semplici, chiari e unitari a livello nazionale.
– L’Assistenza Domiciliare (ADI e SAD) è fortemente insufficiente e inadeguata.
E’ in questo ambito che si vede la “babele” dell’assistenza nel nostro Paese, per la grande difformità nei modelli organizzativi. I casi trattati in ADI (assistenza domiciliare integrata) sono il 6,2% over 65 e l’assistenza ADI significa 17 ore anno per caso trattato. La SAD (servizio di assistenza domiciliare) è gestito dai Comuni, un servizio in progressiva regressione. A godere dei servizi di assistenza gestiti dai comuni sono percentuali minime della popolazione di riferimento e nel caso del servizio con assistenza sanitaria è solo il 41,3% dei comuni a garantirlo.
– Le Residenza sanitarie Assistenziale RSA da riformare radicalmente e la
la semiresidenzialità del tutto assente in molte realtà.
Un settore tutto da riformare e ripensare per trasformarlo al servizio dell’assistenza sociosanitaria domiciliare.
– L’attenzione al contesto abitativo dell’anziano è marginale.
Praticamente nessun Piano dedica attenzione alla qualità del contesto abitativo delle persone non autosufficienti. Il tema è richiamato solo nei Piani sociali di quelle regioni che considerano la casa tema di welfare. Ma anche in queste il tema è nettamente separato dall’ambito sociosanitario. Questa disattenzione è un caso tipico dei limiti della integrazione orizzontale e trasversale che dovrebbe mettere in relazioni varie aree di welfare e tra assistenza formale e informale.
– Inadeguato il numero di profili professionali essenziali (geriatri, infermieri di famiglia, assistenti sociali).
I geriatri sono 4.249 contro 7590 pediatri. Ci sono 9,3 pediatri per 10.000 bambini e 3,1 geriatri per 10mila anziani over 65. Gli assistenti sociali sono 23.282 e gli infermieri 253.430.Ci sono 3,8 assistenti sociali per ogni 10mila residenti. Il personale impegnato nei servizi sanitari e sociali è indubbiamente uno dei pilastri fondanti per la costruzione di un sistema di qualità. Tuttavia lo spazio che i piani dedicano al lavoro e alla sua formazione è del 3,8% nei piani sanitari e 1,1% nei piani sociali: il 2,9% nel complesso.
– L’innovazione tecnologica a supporto della domiciliarità è tutta da sviluppare inoltre i sistemi informativi delle varie regioni non dialogano fra loro.
– Partecipazione, co-programmazione e co-progettazione un orizzonte tutto da scoprire
Alla partecipazione e al coinvolgimento delle organizzazioni del volontariato e del terzo settore in iniziative di co-programmazione e co-progettazione i Piani integrati 5 su 7 dedicano 2,1% dello spazio; 4 su 7 i piani sanitari e sociosanitari con l’1,2% dello spazio; nessun Piano di rientro dedica spazio al tema; 3 su 7 i Piani sociali con l’1,4%; 1 su 6 le Linee guida e gli atti di indirizzo con il 3,8%, mentre nessuna attenzione all’unico Piano di zona. Nel complesso i Piani dedicano al tema l’1,4% del loro spazio.
– Le risorse in larga parte assenti dai contenuti dei Piani.
Alle risorse i Piani dedicano nell’insieme il 9,8% del loro spazio, i Piani di rientro invece si attestano al 21,2%. Uno dei dati più significativi che si ricava dalla analisi dei piani non è tanto e solo l’assenza di un benché minimo ragionamento sulla necessità di integrare le risorse sanitarie con quelle sociali, quanto l’assenza in numerosi piani delle previsioni pluriennali delle risorse necessarie a realizzare gli obiettivi di piano. Andando a verificare nei bilanci regionali le risorse spese pel l’assistenza sanitaria e l’assistenza sociali emerge in tutta evidenza la clamorosa disparità tra i due capitoli: a fronte dei circa 147 miliardi del 2017 per la sanità (il 42,4% dei bilanci regionali), sono circa 6 i miliardi quelli spesi per l’assistenza sociale (l’1,7% dei bilanci regionali al 2017). Per l’assistenza sociale per gli anziani le risorse spesa sono circa 630 milioni di euro (lo 0,2% dei bilanci al 2017).
Le cause dei ritardi nella integrazione sociosanitaria
Una delle cause principali è il progressivo venir meno di riferimenti nazionali unificanti. L’ultimo Piano Sanitario Nazionale risale al 2006, mentre l’ultima relazione al Parlamento sullo stato sanitario del Paese è del 2012-2013. La Riforma del Titolo V della Costituzione ha generato un regionalismo male interpretato che ha favorito una profonda differenza dei servizi sanitari e sociosanitari regionali in 21 distinti sistemi. Inoltre una liberalizzazione asservita a interessi particolari ha determinato la privatizzazione di pezzi importanti dei servizi sanitari e sociosanitari. Altro nodo cruciale una aziendalizzazione distorta nelle sue finalità.
Da 659 USL del 1992 siamo arrivati alle 115 ASL di oggi, passando da una popolazione media di 86.982 a 525.948.
Dal potenziamento dell’Assistenza Domiciliare all’introduzione del geriatra di famiglia. Le proposte Auser per uscire dalla “babele” dell’assistenza agli anziani
L’Auser propone una serie di misure sui cui intervenire da subito per fare in modo che l’assistenza agli anziani non autosufficienti sia all’altezza dei loro bisogni e aspettative. In primo luogo occorre riaffermare l’omogeneità di indirizzo politico nazionale, ripristinando la funzione di indirizzo del Piano Nazionale tanto in rapporto all’impostazione dei Piani regionale quanto in relazione ai loro contenuti, recuperando quindi una cultura della programmazione nazionale. Occorre mettere ordine nell’architettura istituzionale. Non è più sostenibile un sistema sanitario che si dice nazionale ma che si differenzia in 21 realtà regionali e all’interno di ognuna di esse. Questo genera inefficienze ed è causa di discriminazioni. Occorre dare forza alla regia unitaria del sistema sociosanitario.
– Valutare l’utilità di un soggetto istituzionale nazionale per la Long Term Care la cura a lungo termine, servizio che nel prossimo futuro coinvolgerà un terzo della popolazione del Paese.
– Fare chiarezza nella programmazione pluriennale delle risorse semplificando i flussi di finanziamento. La separatezza tra risorse e strumenti di programmazione è forse uno dei risultati più critici emersi dall’analisi dei Piani regionali. Mettere ordine su questo capitolo fondamentale dell’assistenza sociosanitaria è una delle urgenze principali. Una ipotesi potrebbe essere quella di ricomporre tutte le risorse pubbliche già in gioco in una sorta di Fondo Nazionale per la LTC la cura a lungo termine.
– Riformare i criteri di assegnazione e utilizzo dell’Indennità di Accompagnamento per renderlo uno strumento più articolato e differenziato in funzione del grado di bisogno, prevedendo ad esempio livelli differenziati di disabilità e cui correlare specifici e differenziati livelli di Indennità.
– Sciogliere rapidamente il nodo dei Livelli Essenziali delle Prestazione Sociali (LEP) e integrarli con i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
– Rafforzare, unificare e integrare i presidi territoriali sociosanitari dando loro maggiore visibilità. La proposta contenuta nel PNRR di realizzare una rete di presidi sociosanitari può essere decisiva al fine di ricomporre la frammentata organizzazione dei servizi sociosanitari e renderla più riconoscibile e immediatamente individuabile dai cittadini.
– Favorire l’accesso ai servizi sociosanitari ad esempio con la presentazione e l’acquisizione di referti, prescrizioni e ricette in remoto, potenziando in modo strutturale la capacità di primo ascolto e risposta tramite telefono o email, generalizzare i “punti unici di accesso” per evitare inutili perdite di tempo da un ufficio all’altro.
– Unificare i percorsi di accesso incentrati su Valutazione Multidimensionale, Unità di Valutazione Multidisciplinare, Piano di Assistenza individuale.
– Potenziare l’assistenza domiciliari (ADI e SAD). Obiettivo fondamentale dei sistemi di cura della cronicità deve essere quello di mantenere la persona malata il più a lungo possibile nella sua casa senza far ricadere sulla famiglia tutto il peso dell’assistenza. Tre misure non sono più rinviabili: il riconoscimento dei diritti dei caregiver familiari, la qualificazione professionale del lavoro delle badanti e l’emersione dal lavoro nero, il riconoscere alla famiglie un sostegno economico similare al sostegno alle rette per i residenti nelle RSA.
– Riformare la residenzialità e sviluppare i centri diurni per i pazienti con demenza. L’obiettivo è di superare l’attuale frattura tra servizi domiciliari e residenziali al fine di offrire alle persone servizi ed interventi in continuità. Il che significa concepire le RSA come “Centri Servizi” capaci di offrire assistenza a domicilio e servizi supplettivi (mensa, fisioterapista, animazione, bagno assistito, infermiere,ecc.). Vanno inoltre potenziati e diffusi i centri diurni per i malati di demenza molto graditi alle famiglie e di rapida attuazione.
– Introdurre la figura del geriatra di famiglia . Così come per i bambini si prevede il pediatra di famiglia è giunto il momento di prevedere il Geriatra di famiglia come uno dei pilastri del sistema sanitario. Gli over 65 sono oltre 13milioni e i geriatri solo 4.249.
– Sviluppare la figura dell’infermiere di famiglia cui spetterebbe il servizio di consulenza e supporto alle famiglie e la gestione di collegamento, integrazione e ascolto tra il medico di medicina generale , il geriatra, tra i servizi sanitari e socio assistenziali i malati cronici e le loro famiglie.
– Rafforzare la presenza degli Assistenti sociali nei distretti sociosanitari, per il riequilibrio della dimensione sanitaria in rapporto a quella sociale. A fronte di oltre 253.000 infermieri, gli assistenti sociali sono 23.282.
– Istituire la banca dati per le buone pratiche innovative. L’analisi dei Piani ha fatto emergere che le buone pratiche ci sono e in tanti luoghi, ma non sono visibili, non sono conosciute. Occorre realizzare un luogo dove raccoglierle, codificarle e portarle a sistema.
– Promuovere una rete di erogatori LTC (cura a lungo termine) pubblici e privati accreditati e certificati per l’uso dei voucher. Dare al cittadino non autosufficiente la libertà di scegliere l’erogatore del servizio, in questo modo si ritiene possibile ridurre fino alla progressiva abolizione il sistema delle gare d’appalto.
– Realizzare il Sistema informatizzato unificato e inter-istituzionale per la LTC.
– Sviluppare il contributo delle tecnologie nei percorsi di cura e assistenza domiciliare.
– Integrare i servizi abitativi e di assistenza per la permanenza degli anziani nella loro abitazioni.
– Promuovere e sostenere la co-programmazione e co-progettazione come una delle forme della integrazione trasversale. Uno strumento che può prevedere un ruolo attivo sia degli attori pubblici che del privato non profit che trova il suo fondamento nel principio costituzionale di sussidiarietà e parte centrale del Codice del Terzo Settore (articolo 55).
– Introdurre il vincolo alla Rendicontazione sociale in tutte le istituzioni sociosanitarie pubbliche e private come impegno di responsabilità.
“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) offre una opportunità inedita. Si tratta però di uno spazio ancora da riempire di contenuti di vera riforma. Come AUSER Auspichiamo che i risultati della ricerca e le proposte in essa contenute possano contribuire a realizzare una riforma della assistenza sociosanitaria degli anziani non autosufficienti all’altezza dei loro bisogni e aspettative”.