Un caro saluto e benvenute a tutte e tutti.
Quest’anno ricorrono diversi anniversari significativi: 100 anni dalla fine della prima Guerra mondiale – 70 anni della Costituzione italiana e della Dichiarazione dei Diritti Umani dell’ONU – 60 anni dalla Legge Merlin – 50 anni dal 1968 – 40 anni dalla L. 883, che introduceva il SSN e dalla L. 194, che depenalizzava l’aborto.
Tra questi ed altri che non ho citato, abbiamo scelto di ricordare il filo rosso che lega le donne Costituenti alle lotte di emancipazione e ai giorni nostri.
Il 2 giugno 1946 il suffragio universale portò per la prima volta in Parlamento le donne. Su 556 deputati ne furono elette 21 (9 DC, 9 PCI, 2 PSI e 1 dell’Uomo qualunque).
Donne fiere di poter partecipare alle scelte politiche del Paese nel momento della nascita di una nuova società democratica, che fecero fronte comune sui temi dell’emancipazione femminile e si batterono per i diritti delle cittadine italiane.
La loro intensa passione politica, il loro impegno e la loro tenacia le porterà a superare i tanti ostacoli che rendevano difficile la partecipazione delle donne alla vita politica.
A loro si devono alcuni principi fondamentali, in tema di parità di diritti tra uomo e donna, scritti nella Costituzione nata il 1°gennaio 1948: gli artt. 3 (parità davanti alla legge), 29 (parità morale e giuridica dei coniugi), 37 (parità nel lavoro), 48 (parità nella partecipazione politica), 51 (parità di accesso nelle cariche pubbliche).
Nei 18 mesi dei lavori dell’Assemblea Costituente la convinzione che le donne si dovessero occupare solo di faccende domestiche era prevalente tra gli uomini eletti, affiorando sempre nella discussione di questi articoli; mentre le poche donne si battevano per i diritti di tutte noi, gli uomini teorizzavano che: “la donna deve stare a casa, visto che la sua missione è essenzialmente famigliare” o “la moglie, su ogni altra cosa, deve occuparsi del focolare” (*).
(Negli Atti Parlamentari della discussione si possono trovare le dichiarazioni degli onorevoli).
Dissero in un’intervista: – Filomena Delli Castelli – Dc: “Io ho sempre avuto fiducia nelle donne… Eravamo consapevoli che il voto alle donne costituiva una tappa fondamentale della grande rivoluzione italiana del dopoguerra. Avevamo finalmente potuto votare e far eleggere le donne. E non saremmo state più considerate solo casalinghe o lavoratrici senza voce, ma fautrici a pieno titolo della nuova politica italiana”.
– Teresa Mattei – Pci: “Avevo appena 25 anni… quando si votò per il ripudio della guerra, noi tutte e 21, ci tenemmo la mano. Eravamo tutte per la Pace, anche la collega qualunquista, che poi era monarchica. Fummo unite anche per rimuovere il divieto che avevano le infermiere di sposarsi. E ci riuscimmo”.
(I periodici riprodotti fanno parte della raccolta della Biblioteca del Senato)
(*) Atti Parlamentari –discussione Assemblea Costituente
20 anni dopo, nel 1968, iniziò un periodo di grandi cambiamenti ad ogni livello della società, che abbracciò un arco temporale più vasto; il ’68 ha rappresentato una fase storica di incredibili sconvolgimenti economici, sociali, politici e culturali, capace di cambiare per sempre istituzioni tradizionali come la scuola, la famiglia o il lavoro.
Nei Paesi occidentali, la lotta sessantottina è legata soprattutto al movimento studentesco ed alla contestazione giovanile, ma abbracciò anche i movimenti femministi ed antirazziali.
A metà degli anni ’60 il mondo occidentale evidenziava benessere economico e stabilità sociale. Il sogno di un’esistenza serena, dopo gli anni della ricostruzione dal ‘45, si era per molti realizzato, e ci furono i primi risultati del cosiddetto “miracolo economico”. Ma la società immobile di quel tempo si dimostrò provinciale e un po’ bigotta e rivelò le sue prime spaccature.
Ad accentuare l’inquietudine dei ragazzi e delle ragazze contribuirono la musica e la letteratura e si arrivò agli atti di ribellione: il 1 febbraio 1968 fu occupata la Facoltà di Lettere a Roma, dando inizio ad un movimento di protesta che attraversò tutto il Paese. Nel maggio ‘68 tutte le Università, esclusa la Bocconi, erano occupate: nello stesso mese la contestazione si estese, uscendo dall’ambito universitario, e da lì in poi le donne iniziarono un cammino nuovo.
Quando l’onda della contestazioni dagli Stati Uniti raggiunse l’Europa e l’Italia, le donne vissero un vero e proprio sconvolgimento del ruolo femminile nella nostra società, dando inizio ad una rivoluzione politica, ideologica e sociale che cambiò l’immagine della donna italiana: dalla moda, al lavoro, fino ai costumi sessuali.
La donna non era più solo sposa e madre: le donne del ’68 prendevano in mano la propria vita e, ribellandosi alle regole imposte dalla famiglia e dalla società, osavano cambiare. Una rivoluzione collettiva fatta di tante straordinarie storie personali. Studentesse o contadine, borghesi o proletarie, ragazze madri, femministe, artiste, hippies, tutte diverse tra loro per provenienza, estrazione sociale, istruzione ed opinioni.
Il femminismo, di cui si cominciò a parlare solo nel ’68, si è affermato, come movimento autonomo, durante tutto il decennio successivo, conquistando le leggi per i diritti e la liberazione delle donne dal ruolo imposto dalla cultura patriarcale del nostro Paese. Non si chiedeva solo il diritto allo studio, al lavoro, alla parità di salario; si mettevano in discussione ruoli accettati e consolidati da secoli, si rimettevano in gioco i diritti civili, e quindi la qualità della vita di tutte e tutti. Patriarcato, paternalismo ed autoritarismo divennero il nemico da respingere.
Il più profondo dei cambiamenti è stato avere il controllo della maternità, in alcuni casi rinunciandovi del tutto. Negli anni ’60, la diffusione della pillola ha dato alle donne un potere dal quale prima erano escluse. Il mondo occidentale è stato rivoluzionato da uno slogan “l’utero è mio e lo gestisco io”.
Nel 1970 nascono i primi collettivi femministi, all’interno dei gruppi che facevano parte del “Movimento Studentesco”. Sono le donne di Lotta Continua, definite “gli angeli del ciclostile“, perché relegate a funzioni di secondo piano, a riunirsi in gruppi autonomi di discussione, mentre la parte maschile teneva comizi e assemblee. Sono queste donne che, con felice intuizione, hanno coniato lo slogan il “privato è politico”. Dal 1972 i collettivi delle donne crescono e si moltiplicano in tutta la penisola. Il movimento delle donne cominciava ad essere propositivo ed il filo che le univa era lo stesso.
Il movimento del ‘68 non ha conquistato il potere politico, ma ha prodotto un cambiamento decisivo nella mentalità collettiva, trasformando profondamente il vissuto sociale ed i costumi del Paese, altrimenti i referendum sul divorzio e sull’aborto non sarebbero passati.
Fu una lunga rivoluzione culturale che durò circa 10 anni, che ha segnato una stagione di riforme istituzionali, di conquiste salariali e di qualità del lavoro, di rivalutazione di importanti parti sociali (le donne, i bambini, i giovani, gli anziani), di profonde mutazioni nella mentalità collettiva e ha dato un contributo significativo alla conquista dello Statuto dei lavoratori, alla battaglia sul divorzio e sull’aborto, e ha costruito la nuova legislazione sulla scuola e l’università.
La diffusione giovanile del movimento ha prodotto inoltre mutamenti radicali nel linguaggio; nel costume, dalla musica al cinema, all’abbigliamento; nei rapporti sociali ed interpersonali, in quelli tra genitori e figli, creando un clima di attesa e di speranza che ha di colpo svecchiato l’intero Paese, migliorandolo.
Ha difeso la democrazia, riconosciuta come un valore, ha contribuito in modo decisivo a creare la consapevolezza di una comunità culturale e di interessi tra tutti i lavoratori, portando un clima di unità tra il mondo del lavoro in fabbrica e le battaglie degli studenti e delle donne.
La rivoluzione studentesca ha sostenuto con forza il difficile cammino dell’emancipazione femminile, ed ha diffuso un sentimento di repulsione contro l’imperialismo, il razzismo ed il fascismo.
Fu anche, purtroppo, una stagione di violenza. Violenza istituzionale, prima di tutto; violenza antioperaia e antisociale, come la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, prima di una serie di numerose stragi che, a causa del coinvolgimento dei servizi segreti, sono state definite “stragi di stato”. Violenza repressiva delle lotte dei lavoratori, degli studenti, delle donne, cariche spietate dei cortei, morti e feriti sotto le camionette e violenza terroristica. La violenza antifascista si sviluppò contro forze istituzionali e politiche agguerrite e minacciose.
Il femminismo del ‘68 avrebbe potuto essere la chiave per creare una società più giusta, paritaria e, probabilmente, felice, perché è stata la vera, unica rivoluzione ancora viva, ora più che mai al centro dell’attenzione.
Oggi, molto di quel che il ’68 aveva demonizzato, per esempio l’autorità dei padri, viene rimpianto, ma soltanto da una delle rivoluzioni sessantottine non si è ancora tornati indietro: la rivoluzione femminile.
Dopo essersi adagiate per vent’anni, tra la metà degli anni Ottanta e l’inizio del Duemila, dopo aver tollerato il modello femminile dettato da una controriforma maschilista: “sii bella e cerca di piacere a un uomo ricco e potente”, oggi col caso Weinstein e con la copertina di Time che celebra il “Me too”, si segna un punto sostanziale nel cammino delle donne e della loro forza.
Qualcosa si sta muovendo anche grazie al contributo di “Rebel Network”, la rete femminista per i diritti, che si batte per la parità di genere ed i diritti delle persone, di cui la nostra ospite Cristina è una rappresentante, e grazie al movimento “NonUnaDiMeno”, che ha fatto irruzione sulla scena pubblica il 26/11/2016, con la grande manifestazione di Roma, a cui anche noi con la Cgil abbiamo aderito, insieme ad altre associazioni, da DI.RE all’UDI, e che lotta contro la violenza degli uomini sulle donne.
A 50 anni di distanza, si può tentare di fare un bilancio dei prezzi pagati: una società invecchiata, la maternità negata spesso con rimpianto da tante generazioni di donne, o inseguita con ossessione in età avanzata.
Le donne hanno scelto di non riprodursi più, o di riprodursi molto meno, soprattutto nei Paesi come l’Italia nei quali la politica è gestita da uomini incapaci di una visione.
Era ampiamente prevedibile che l’uragano femminista del ‘68 non si sarebbe fermato e che le donne non sarebbero tornate tanto facilmente in “cucina”, nonostante tutti i tentativi di restaurazione.
Si è scelto invece di sottovalutare la realtà, di fare come se niente fosse, continuando ad ignorare la mancata conciliazione dei tempi ed il carico del lavoro di cura, la difficoltà a trovare o conservare un lavoro quando si diventa madri, la mancanza di servizi pubblici adeguati.
Si è continuato a sperare che prima o poi le donne sarebbero tornate tra i fornelli, a complemento dell’uomo, come ossessivamente ci ripropone la pubblicità, che spesso è sessista e rappresenta la donna unicamente come un corpo utile a sedurre. Aldilà della volgarità di molti spot, passa il messaggio sbagliato che solo le donne giovani e belle abbiano valore. Le altre praticamente non esistono, una “zona grigia” in cui ci collochiamo tutte noi, che invece esistiamo eccome e siamo impegnate ogni giorno a scrivere un pezzo del futuro di questo Paese, mentre l’interesse pubblicitario per il corpo delle donne adulte/anziane è, ancora soltanto, quello per la malattia.
Dopo cinquant’anni, invece di avere una società più libera e più uguale, più serena e felice, abbiamo una società con tante donne sole e tanti uomini che fuggono dalle responsabilità e dalla famiglia; oppure continuano a discriminare o esercitare violenza sulle donne, perché non hanno ancora accettato che abbiamo il diritto di scegliere. Non si può essere uccise solo perché si vuole essere libere di decidere cosa fare della propria vita, di sottrarsi al potere ed al controllo del proprio padre, marito o compagno. In una certa percezione maschile, le donne sono soggetti deboli, nuovamente esposte a violenze, abusi e sfruttamento.
Serve oggi più che mai investire sulle donne e sulla solidarietà tra donne per costruire un’Italia migliore.
Dobbiamo rilanciare l’obiettivo di elaborare progetti, attraverso misure di pari opportunità, nell’ambito di un nuovo welfare che tenga conto della specificità di genere (vedi: stipendi e pensioni con differenziale di genere -40%).
Dobbiamo avere la capacità di ri-diventare un’immagine sociale e politica, di imporre nel dibattito pubblico non solo i bisogni delle donne, ma la diversità dei loro modi di essere.
Purtroppo il maschilismo è sdoganato, la battaglia per la parità sembra sempre più difficile e tutto viene liquidato con un “non drammatizziamo, che sarà mai, le vere tragedie sono altre”, mentre il divario di genere è sempre più ampio ed i diritti, faticosamente conquistati, stanno arretrando.
La questione di genere deve diventare una priorità di questo Paese. Deve rientrare prepotentemente nell’agenda politica dei partiti, anche se nell’ultima desolante campagna elettorale nessun leader si è assunto un impegno serio in tema di violenza contro le donne; le culture femminili sono state ignorate ed è diminuita la presenza delle donne nel nuovo Parlamento. Se la politica non riuscirà a capire che questa è una priorità essenziale per il rilancio del nostro Paese, si allontanerà sempre più inesorabilmente dai bisogni delle donne e del Paese tutto.
Il ‘68 ha dato più consapevolezza alle donne. Ha creato percorsi grazie ai quali oggi siamo più forti e più libere, e molte donne impegnate nella nostra organizzazione provengono dalla generazione del Sessantotto e mettono a disposizione le loro competenze e la loro responsabilità.
Da tempo, attraverso le nostre attività sulle tematiche di genere, gridiamo che è ora di affrontare il problema delle discriminazioni e delle violenze sulle donne, esercite nell’indifferenza generale della politica e nella tolleranza sociale.
Concludendo, penso che il nostro impegno nell’Osservatorio P.O., in rete con il sindacato, le associazioni femminili e femministe, e le istituzioni, sia oggi più che mai indispensabile, se vogliamo dare un segnale e provare a cambiare linguaggi ed azioni, per diffondere una cultura della non violenza e del rispetto reciproco; e se vogliamo dare un contributo importante alla battaglia per i diritti e le condizioni di vita delle donne, valorizzando anche il ruolo delle donne mature ed anziane e contrastando discriminazioni, stereotipi e tabù culturali.
Credo sia l’unica strada da percorrere per salvarci. Grazie a tutte e tutti!
(Fonte: articolo di Maria Latella, giornalista, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Formiche)