Caro diario,
mi chiamo Samira, ho 13 anni e da oggi è esattamente un mese che vivo in Italia e vado a scuola. È anche da un mese che ho una bella famiglia: una madre e un padre, un fratello e un cane, Argo, che però non si lascia ancora accarezzare da me. Vengo dalla Libia, sono nata in un villaggio povero, (adesso probabilmente è raso al suolo dalla guerra) e sono riuscita ad arrivare fin qui. I miei “veri” genitori non li ho mai potuti conoscere, quando avevo 3 anni il mio villaggio fu attaccato. Non ricordo di quel giorno e non so neanche dove possano essere i miei, non so neanche se sono vivi, ma conservo dentro di me delle sensazioni: prima era tutto normale poi sentii delle urla e delle persone che correvano, mi ricordo un paio di braccia calde e morbide, forse quelle di mia madre, che mi si attorcigliavano addosso, mi tiravano su e mi passavano a un altro paio di braccia, forse quelle di un uomo, che mi presero e portarono via. Ricordo una voce che diceva «Non fatele del male, non fatele del male!» poi chi mi teneva in braccio iniziò a correre, correre e correre, per un tempo che mi sembrò quasi infinito. Poi sentii uno sparo vicino a me, caddi a terra, ma ebbi la sensazione che non fossi io ad essere colpita. Rimasi lì per giorni, finché qualcuno non mi prese e mi portò nell’orfanotrofio in cui ho passato quasi tutta la mia vita. I miei primi veri ricordi risalgono a quel posto: mi ricordo il mio lettino, che condividevo con un altro bambino, mi ricordo di quando imparai un po’ l’italiano da un mio amico, mi ricordo i pasti disgustosi che servivano e mi ricordo la rabbia e la tristezza che provavo quando delle coppie portavano via un bambino piuttosto che un altro. Poi verso i 13 anni (non so qual è la data del mio compleanno) conobbi Mohammed, un uomo alto e robusto, di circa 30 anni che mi propose di partire per l’Italia. Andare in Italia e fare l’avvocato erano i miei due più grandi sogni, oltre a quello di avere una famiglia, ma Mohammed voleva dei soldi per fare questo viaggio, così mi propose di andare con lui, in cambio della possibilità di realizzare il mio sogno. Io, da ragazzina ingenua e sognatrice accettai subito e pensai che potesse essere l’inizio di una nuova vita, ma solo dopo provai quanto le persone possano essere cattive… fui costretta a vendere un rene, mi sentii sfruttata, da quel giorno in poi tutto il tempo che passavo, lo passavo sperando che un masso gli cadesse sulla testa. Il giorno della partenza, con me avevo portato gli unici pochi vestiti che avevo e qualche soldo rubato dal direttore dell’orfanotrofio. Lasciammo il porto di mattina presto su una barchetta che ormai cadeva a pezzi, fortunatamente avevo occupato un posto all’aria aperta, così avrei avuto aria fresca da respirare per tutto il viaggio, anche se di notte faceva freddo. Ci vorrebbero decine di pagine per descrivere gli orrori che ho visto, le parole che ho detto, gli odori che ho sentito, le schifezze che ho mangiato e le cose orribili che ho fatto, sarebbe troppo doloroso. Verso la fine del viaggio Mohammed è andato via su un motoscafo lasciandoci da soli in mezzo al mare, senza nessuno che sapesse come usare un timone, o attivare il motore; non so quanto tempo, quanto straziante e doloroso tempo abbiamo trascorso in mezzo al mare, dimenticati da tutti. Eravamo stanchi, affamati, nervosi, alcuni litigavano e si picchiavano, altri piangevano, alcune mamme cercavano i propri figli, altri stavano sdraiati mezzi morti, in attesa della propria ora. Poi ci fu il miracolo: arrivarono i soccorsi italiani! Mi ricordo una bella nave bianca che ci ha presi e portati fino al campo, dove ho incontrato un angelo: Pino, che si è occupato di me fino a quando Lorenzo e Bianca, i miei genitori, non mi sono venuti a prendere e mi hanno portata a casa. Dopo tempo ripenso al passato e solo adesso capisco che nel mondo ci sono persone che sono come degli angeli, ma anche persone che non lo sono affatto. Alla fine, sono fiera di tutto quello che ho fatto (o quasi) e penso che anche se sono piccola, sono già una donna.
Bacioni,
Samira