Pubblicata la Ricerca Auser e Spi Cgil su problemi e prospettive della domiciliarità
Cresce il numero di anziani bisognosi di cure, ma diminuisce il numero dei caregiver famigliari, soprattutto le donne. Gli anziani del futuro avranno pensioni più basse e questo inciderà sul mercato privato di cura. Una situazione che potrà compromettere seriamente il futuro dell’assistenza domiciliare degli anziani non autosufficienti nel nostro Paese. Con conseguenze gravissime per milioni di famiglie.
E’ il cuore della nuova ricerca Auser e Spi Cgil “Problemi e prospettiva della domiciliarità. Il diritto di invecchiare a casa propria” realizzata da Claudio Falasca, pubblicata da Liberetà e da oggi scaricabile su www.auser.it e www.spi.cigl.it
Un mix di analisi e proposte con al centro la persona anziana, il suo ambiente di vita e i suoi bisogni.
Il tema è quello della domiciliarità che non comprende solo la casa, ma tutto quello che la circonda.
La ricerca partendo dall’analisi del cambiamento demografico e la qualità e quantità dei servizi, sia pubblici che privati, che vengono offerti nel nostro Paese, costruisce una visione futura sulla Long Term Care (la cura a lungo termine), analizza il ruolo della famiglia e le diseguaglianze di reddito, per poi arrivare alle condizioni abitative e agli standard urbanistici.
La ricerca mette a fuoco inoltre molte proposte di soluzioni ai problemi sollevati, rilanciando il tema della longevità come una risorsa per l’intera comunità.
“Il cambiamento demografico, il numero delle persone non autosufficienti e i pochi servizi disponibili, ci dicono che intervenire sulla “domiciliarità” è una strada obbligata – afferma il presidente Auser Enzo Costa – Invecchiare a casa proprie è un diritto che va garantito con una rete efficace di servizi sul territorio nel rispetto della persona in tutto l’arco della sua vita.”
“Siamo in presenza di profonde trasformazioni nella nostra società, prima fra tutte quella dell’invecchiamento della popolazione – sostiene il Segretario generale dello Spi-Cgil Ivan Pedretti. “Quella della non autosufficienza è una vera e propria emergenza nazionale che riguarda da vicino non solo tanti anziani ma anche e soprattutto le loro famiglie. È uno dei grandi temi del nostro tempo, che la politica finora ha fatto però finta di non vedere. Serve una legge nazionale, servono risorse e serve ripensare il nostro sistema di welfare che altrimenti rischia così di non reggere”.
I PROBLEMI
Aumenta la popolazione anziana e urbana. L’incremento dei non autosufficienti
Per la prima volta nella storia, la popolazione urbana nel mondo ha superato la popolazione rurale. Nel 2014 la popolazione urbana ha raggiunto i 3.900 milioni, pari al 54% della popolazione mondiale. Un cambiamento di grandissima portata, uno “squilibrio” che avrà conseguenze pesanti sulle politiche di welfare e sull’ambiente.
L’Italia è la punta di diamante del processo di trasformazione demografica, arrivando ad essere uno dei paesi più longevi del pianeta. Nel 2045 si prevede che le persone con più di 65 anni saranno un terzo della popolazione, il 33,7%. La popolazione totale diminuirà del 3,5% arrivando a 58milioni e 600mila e per il 78% sarà concentrata nelle città.
L’altro problema con cui fare i conti è l’aumento delle persone non autosufficienti. Anche se la longevità non significa automaticamente perdita di autosufficienza, l’analisi delle previsioni ci dicono che è da prevedere un aumento di 300mila non autosufficienti al 2025, 1.250.000 al 2045 e 850.000 nel 2065.
Famiglie sempre meno in grado di prendersi cura degli anziani
La famiglia italiana continua a svolgere un ruolo centrale nel lavoro di cura. Ma la società, la famiglia e il mercato del lavoro stanno cambiando profondamente. Le donne, vero pilastro del ruolo di assistenza della famiglia, spmp sempre più impegnate nel mondo del lavoro, oggi il tasso di occupazione in Italia è di circa il 48,1% ma se si dovesse raggiungere la media europea del 61.5% il lavoro di cura in ambito familiare subirebbe un drastico ridimensionamento di circa 2milioni e 500mila donne.
Come si riuscirà a rispondere alla crescente domanda di assistenza di lunga durata fino ad oggi garantito in ambito familiare? Un problema serio che va affrontato quanto prima.
Avanza la povertà: rischio reale per molte famiglie con persone anziane con limitazioni funzionali
Una ricerca Censis del 2015 sottolinea che oltre 561mila famiglie hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o vendere l’abitazione (anche in nuda proprietà) o indebitarsi in altre forme per far fronte ai costi dell’assistenza ad un familiare non autosufficiente. Le famiglie impegnate nell’assistenza a un proprio caro sono esposte finanziariamente sia se l’assistenza è garantita direttamente sia se erogata da badanti o infermieri. Ad ogni persona non autosufficiente è associato un flusso di risorse in uscita. Sempre il Censis nell’ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, stima in 9 miliardi l’anno la retribuzione per le badanti e in 4,6 miliardi le spese medico sanitarie come farmaci, analisi, visite, trattamenti riabilitativi ecc. Una famiglia con una persona non autosufficiente deve affrontare una spesa sanitaria privata pari a più del doppio rispetto alle altre famiglie italiane. Come evidenzia il Censis il 51% delle famiglie con un non autosufficiente hanno avuto difficoltà a sostenere spese per l’acquisto di prestazioni e servizi sanitari e socioassistenziali contro il 30,5% delle altre famiglie.
Precarietà del lavoro oggi e basse pensioni domani: assistenza incerta per i futuri anziani
La precarizzazione del mercato del lavoro è una bomba ad orologeria che grava sulla vita degli anziani di domani soprattutto dei futuri non autosufficienti che avranno enormi difficoltà ad affrontare i costi delle cure di cui avranno bisogno. I lavoratori precari di oggi molto difficilmente avranno pensioni adeguate a far fronte ai rischi connessi alla non autosufficienza. Tanto più se viene ridimensionato l’intervento pubblico nella cura di lunga durata (LTC). A destare particolare preoccupazione sono i NEET – giovani tra i 15 e i 34 anni che non lavorano e non studiano – che dal 23,9% del 2012 sono aumentati al 24,4%, la percentuale più elevata rispetto agli altri paesi europei
Aumentano gli anziani ma in pochi riescono ad accedere ai servizi per la domiciliarità
I servizi domiciliari di cura sono uno dei pilastri su cui si fonda la LTC (assistenza di lunga durata) in Italia. Purtroppo percentuali troppo basse di anziane riescono a beneficiare nel nostro Paese di servizi di assistenza nei diversi livelli di non autosufficienza. Nel quinquennio 2009-2013 in Italia gli anziani sono aumentati dell’8,6% passando da 11.974.530 a oltre 13 milioni. Nello stesso arco di tempo, sono diminuiti del 21,4% gli anziani che hanno beneficiato del Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD) passando da 190.908, l’1,6% della popolazione anziana del 2009 al 149.995 l’1,2% del 2013.
A differenza della SAD, nel quinquennio 2009-2013 l’ADI Assistenza Domiciliare Integrata, registra un incremento passando dal 3,7% al 4,8% della popolazione anziana. Nel 2013 riuscivano ad accedere al servizio ADI solo il 23,7% del totale degli anziani con limitazioni funzionali.
Badanti: sempre più economicamente insostenibili per le famiglie
Negli ultimi due decenni le famiglie italiane hanno fatto ampio ricorso al lavoro di cura informale, malgrado presenti molte criticità: nero, qualificazione degli operatori, rapporto tra domanda e offerta, ecc. Ma le vere incognite che incombono sulla sostenibilità del sistema sono di natura economica.
I costi di questo welfare “informale” grava sui bilanci delle famiglie, a fronte di una spesa media mensile di 667 solo il 31,4% riesce a ricevere una qualche forma di sostegno pubblico, rappresentato perlopiù dall’Accompagno (19,9%). Se complessivamente la spesa che le famiglie sostengono incide per il 29,5% sul reddito famigliare non stupisce che la maggioranza di esse (56,4%) non riesca più a farvi fronte e sia corsa ai ripari: il 48,2% ha ridotto i consumi, pur di mantenere il collaboratore; il 20,2% ha intaccato i propri risparmi; addirittura il 2,8% delle famiglie si è dovuta indebitare. Molte famiglie (il 15,1% ma al Nord la percentuale arriva al 20%), hanno dichiarato di considerare l’ipotesi che un membro della famiglia possa rinunciare al lavoro per “prendere il posto” della badante.
Per quanto lo scenario di qui ai prossimi anni appaia gravido di incertezze si stima comunque che l’evoluzione della domanda di “badanti”, mantenendo stabile il tasso di utilizzo dei servizi da parte delle famiglie, porterà il numero degli attuali collaboratori da 1 milione 655 mila a 2 milioni 151 nel 2030, determinando un fabbisogno aggiuntivo complessivo di circa 500 mila unità. È questo il dato che emerge dalla ricerca Fondazione CENSIS e ISMU.
I conti dell’Assistenza Domiciliare non tornano
Le famiglie italiane, già messe a dura prova dalla crisi, sono sempre più in difficoltà nel sostenere i costi per l’assistenza di un proprio caro non autosufficiente. Dare risposte credibili a questo problema è la questione prioritaria per una evoluzione positiva della Cura a Lungo Termine in Italia.
L’assistenza (che per la parte pubblica comprende l’assistenza sociale, mentre quella sociosanitaria è inglobata nelle sanità) è un’area critica. Il suo valore complessivo – ci dice l’Osservatorio sul bilancio del welfare delle famiglie del 2017 – è di 31,4 miliardi, solamente l’1,9% del PIL, del tutto inadeguata a fronte dell’invecchiamento della popolazione e dell’emergere di nuovi bisogni di cura delle persone e di sostegno alle famiglie. La spesa pubblica contribuisce per il 52,4% molto meno che per altri settori. Come è noto, le prestazioni di assistenza sociale sono affidate principalmente alle amministrazioni locali, sempre più in difficoltà a causa della riduzione delle risorse disponibili.
Il welfare aziendale, recentemente sostenuto da una nuova normativa, in prospettiva può essere di aiuto per le famiglie grazie agli incentivi fiscali di cui beneficia e grazie alla capacità che le aziende hanno di aggregare la domanda e organizzare soluzioni efficienti: ma siamo solo agli inizi. Non stupisce dunque che buona parte della spesa per assistenza sia sostenuta direttamente dalle famiglie: 14,4 miliardi, 48,8% del totale.
In questo quadro le famiglie si trovano ad affrontare le spese in gran parte da sole e facendo ricorso all’impegno personale dei familiari. Ma i problemi non sono solo i costi, mancano supporti per i cittadini che garantiscano la qualità dei servizi e ne facilitino la reperibilità.
La non autosufficienza di un familiare è un evento che cambia gli assetti economici e sociali dei una famiglia. Solamente il 23,8% di coloro che lo hanno affrontato dichiarano di essere stati in grado di coprirne le spese. Ma per pochi di questi (14,3%) il reddito è stato sufficiente. La maggior parte hanno dovuto intaccare i risparmi o ricorrere all’aiuto di amici e parenti. Nella stragrande maggioranza dei casi (76,2%) le famiglie non sono state in grado di provvedere integralmente all’assistenza e hanno dovuto fare delle rinunce: hanno rinunciato ad un maggiore livello di assistenza per la persona da curare (40,4%), oppure a spese sanitarie (26,4%) o hanno ridotto i consumi alimentari (33,2%).
Anziani prigionieri in casa propria
Le cose dove vivono gli anziani non sempre sono garanzia di qualità e sicurezza. Il 56% delle case di proprietà degli anziani sono prive di ascensore. La casa può diventare una prigione.
Gli anziani che vivono in abitazioni di proprietà sono quasi 10milioni e non sono case nuove. Il 70% ha più di 50 anni, nel 20% sono ancora più vecchie. Nel 7% dei casi non c’è l’impianto di riscaldamento, nel 56% di case con anziani in edifici superiori a due piani manca l’ascensore .
Un indicatore della “qualità abitativa” sono gli incidenti domestici. Nel 2014 – riferiscono i dati Istat – quasi 700mila persone hanno dichiarato di essere rimaste coinvolte in un incidente domestico. Il fenomeno è chiaramente connotato per genere ed età: le donne, gli anziani e i bambini sono le categorie maggiormente a rischio di incidenti domestici. Il 70,4% di tutti gli incidenti ha come vittima una donna, con un numero di incidenti subìti più che doppio rispetto a quelli che colpiscono gli uomini (551mila incidenti subìti da donne contro 232mila degli uomini). Oltre un terzo degli incidenti (36%) riguarda una persona di 65 anni e più e il 4,5% ha come vittima un bambino sotto i 5 anni. L’assoluta predominanza di cadute tra le donne anziane (rispettivamente 76,1% per la classe di età 65-74 anni e 81% per quella da 75 anni in su) si traduce in una più elevata incidenza di fratture a danno soprattutto degli arti inferiori; viceversa, per gli uomini le lesioni più frequenti sono le ferite e le parti del corpo più colpite sono soprattutto braccia e mani (rispettivamente 49,2% e 39,9% per le due classi di età considerate). Cucine, pavimenti e scale i luoghi più rischiosi.
La difficile vita degli anziani nelle città
La vita per gli anziani nelle città è complicata e faticosa: i presidi sanitari e assistenziali sono spesso fuori mano e mal collegati; i negozi sotto casa per generi di prima necessità sono sempre più rari; il trasporto pubblico è inadeguato e rischioso; mancano servizi come bagni pubblici, panchine, ecc.; i marciapiedi e gli attraversamenti stradali sono insicuri e poco agibili; mancano punti di informazione, di assistenza, di ritrovo; le strade sono spesso poco illuminate e insicure.
LE SOLUZIONI
La domiciliarità: un diritto della persona. L’urgenza di un Piano Nazionale per la non autosufficienza
La “domiciliarità” non va intesa solo come una prestazione, un servizio, va intesa invece, come quell’insieme di misure, azioni, condizioni che consentono all’anziano di vivere più pienamente possibile il proprio ambiente di vita fatto della propria abitazione, ma anche dell’ambiente che lo circonda. La persona anziana deve essere messa in condizioni di poter rivendicare, una sorta di “diritto alla domiciliarità” attivando una rete di risorse e servizi come supporto alla garanzia di domiciliarità nei confronti della persona e della famiglia. É questo lo spirito che deve animare una domiciliarità coerente con una politica a favore dell’invecchiamento attivo incardinata nella “Carta europea dei diritti e delle responsabilità degli anziani bisognosi di assistenza e di cure a lungo termine”.
Questo rende essenziale il Piano nazionale per la domiciliarità rivendicato unitariamente dai sindacati con una proposta di legge d’iniziativa popolare che risale al 2005.
La previsione nel Decreto legislativo del 15 settembre 2017 in merito alle “Disposizioni per l’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà” di un Piano per la non autosufficienza, quale strumento programmatico per l’utilizzo delle risorse del Fondo per le non autosufficienze introduce una novità importante a condizione, ovviamente, che non diventi un mero piano di ripartizione delle risorse e che venga, invece, colto come l’occasione per una riflessione complessiva.
La buona longevità si costruisce nel tempo
Corretta alimentazione, attività fisica, relazioni amicali, attività culturali e di volontariato. La buona longevità si costruisce giorno per giorno. Fragilità e non autosufficienza hanno una relazione diretta con il tempo che passa, tra gli ottantenni cresce in modo esponenziale la quota di persone che hanno bisogno di aiuto. Non esiste, tuttavia, un rapporto automatico tra longevità e non autosufficienza. La vecchiaia non è più solo il tratto terminale e declinante del ciclo di vita, ma una fase dell’esistenza con contenuti e finalità proprie in cui vivere attività e progetti ed essere coinvolti nella vita sociale e della comunità.
Riconoscere il lavoro di cura familiare
Il riconoscimento del lavoro di cura familiare, che ha per lo più una forte presenza femminile fatto di mogli, figlie e nuore, è diventato una stringente necessità sociale. Primi segni di cambiamento, ma inadeguati, sono contenuti nell’articolo della Legge di stabilità 2018 che introduce nel nostro Paese il “Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare”. L’iniziativa, pur significativa in quanto per la prima volta segna l’emergere di una attenzione nuova verso un problema ad oggi ignorato, è comunque un primo timido passo in un cammino decisamente lungo verso il riconoscimento di diritti fondamentali per i caregiver.
Costruire una rete di servizi di prossimità
Occorre colmare gli squilibri territoriali, creando un sistema di servizi di prossimità per la domiciliarità a livello di territorio/quartiere in grado di garantire all’anziano una continuità di cura adeguata alle sue condizioni, evitando che venga sottoposto a costrizioni o discontinuità traumatiche per il suo equilibrio psico-fisico. Una grande rete di relazioni che abbraccia l’anziano, fatta di tutte quelle realtà che a vario titolo gravitano attorno alla persona non autosufficiente: la famiglia, il volontariato, gli amici e i conoscenti, il vicinato, la platea dei servizi pubblici e privati del territorio come l’assistenza sociale comunale e i servizi delle strutture socio sanitarie e residenziali.
Questo comporta acquisire le conoscenze circa le diverse situazioni e problemi che caratterizzano la popolazione anziana nei specifici contesti regionali e/o locali; il livello di integrazione dei servizi di assistenza sociale e sanitaria; le tipologie alternative di gestione dei servizi; le modalità di integrazione delle assistenti familiari nella rete dei servizi pubblici; le conseguenze a lungo termine delle contribuzioni economiche dirette in seno alla famiglia. La distribuzione territoriale dei presidi sanitari e per l’assistenza sono solo alcuni degli aspetti che possono contribuire alla costruzione della “rete” e di cui sarebbe grave sottovalutare l’importanza ai fini degli effetti sull’anziano, sulla famiglia e sul sistema di welfare stesso.
Le azioni prioritarie per la realizzazione della rete sono: superare la babele; integrare i Livelli essenziali delle prestazioni per la non autosufficienza (LESNA) con i Livelli essenziali di assistenza (LEA); dare continuità al sistema residenzialità / domiciliarità;assicurare presidi di servizi di cura intermedia; istituire la figura del “case manager – gestore del caso”
Il lavoro di cura fonte di buona occupazione, se organizzato
Nei prossimi anni assisteremo ad una progressiva crescita della domanda di lavoro per la cura degli anziani tanto in ambito pubblico, quanto nel lavoro privato e del terzo settore. Uno scenario confermato da tutti gli indicatori.
La popolazione ultrasessantacinquenne bisognosa di cura passerà dai circa 2.5 milioni valutati dall’ISTAT ne 2013, ai circa 3,5 – 3,9 milioni nel 2045 secondo lo scenario intermedio. E nei prossimi decenni si assisterà ad una riduzione del lavoro di cura familiare di circa la metà dell’attuale. La domanda di lavoro di cura aggiuntivo si aggirerà intorno a circa un milione.
Prendendo a riferimento il numero delle lavoratrici e lavoratori che svolgono la professione di assistenti familiari, se ne ricava che dal 2009 al 2015 il loro numero è in progressiva crescita, assoluta e percentuale, passando dal 26% dei lavoratori domestici nel 2009 al 42,4%, con un incremento del 46,1%. Certo la crisi ha toccato anche questo settore: rendendolo ancora più opaco, certamente più sommerso, in parte ridimensionandolo. L’INPS calcola comunque che ogni 28 famiglie vi sia un lavoratore domestico, anche se il CENSIS nel 2010 ne quantifica una ogni dieci, facendo emergere dallo studio che vi siano 1.538.000 domestici che prestano il loro lavoro in 2.412.000 famiglie.
Un altro indicatore è il lavoro pubblico nell’ambito dei presidi sociosanitari. Qui ricaviamo, secondo l’ISTAT, che nel 2013 il personale impegnato ammonta a 362.499 lavoratori di cui 308125 retribuiti e 54.374 volontari, rispettivamente 85 e 15%. Nel 2009 il totale passa a 363.607 di cui 321.194 retribuito e 42.413 volontario: rispettivamente 88,3 e 11,7%. Tra il 2009 e il 2013 il totale del personale è diminuito dello 0,3%, quello retribuito è diminuito del 4,1%, mente il volontario è aumentato del 28,2%. Il rapporto tra personale retribuito e assistiti è di 1,14: praticamente 1 a 1.
Se rapportiamo, infine, i 384.450 posti letto presenti nei presidi, 6,3 ogni 1.000 persone residenti, a numero dei principali paesi OCSE dove i servizi residenziali per anziani sono organizzati su un’offerta che varia da 4 a 8 posti letto per 1.000 abitanti (o meglio da 30 a 60 posti per 1.000 anziani), ne deriviamo una necessità di adeguamento di circa più 111.000 a 500.000 per allineare il nostro Paese al valore medio OCSE. Considerando che l’attuale rapporto lavoro/posti letto è di uno/uno, anche qui ci troviamo di fronte a una crescente domanda di lavoro dell’ordine di 100-500 mila posti di lavoro.
Queste previsioni devono indurre i diversi soggetti impegnati nel settore dell’assistenza domiciliare alla non autosufficienza (pubblici, privati e del terzo settore) a fare uno sforzo straordinario di organizzare l’offerta di lavoro in modo molto più efficiente, efficace, trasparente e affidabile di quanto non sia oggi.
Qualificare la condizione abitativa
Il punto di partenza di una domiciliarità che guarda al futuro è la condizione abitativa in cui vivono milioni di anziani.
Diversi gli ambiti su cui intervenire:
stabilizzare le misure di sostegno alle ristrutturazioni del patrimonio immobiliare privato condizionandolo al rispetto di standard di qualità commisurati ai problemi di una crescente popolazione anziana;
aggiornare la normativa su standard e barriere adeguandoli alla nuova domanda sociale; aggiornare il quadro tecnico normativo (edilizio: agibilità e sicurezza; tecnologico: ascensori, domotica);
sostenere le esperienze innovative e le buone pratiche come la badante di condominio, la coabitazione solidale;
impegnare i detentori di quote di patrimonio “pubblico” in programmi di riqualificazione.
L’invecchiamento attivo come “valore urbano generale”
Le linee di azioni prioritarie per politiche urbane per la non autosufficienza si possono così riassumere:
– Piani dei servizi sociali integrati con attività civili di prossimità
– adeguamento degli standard urbanistici;
– adeguamento della normativa sulle barriere architettoniche;
– rete di prossimità dei servizi socioassistenziali;
– tipologie abitative per la residenzialità leggera;
– smart city e servizi di tecnoassistenza;
– trasformare la casa da costo a fonte di reddito;
– istituire gli sportelli “Anziani abitare sicuri” un luogo dove gli anziani e i loro famigliari possono trovare risposte su tutte le problematiche che riguardano la casa e l’abitare.
Combinazione di risorse per garantire chi ha bisogno di Cure a Lungo Termine
Garantire un flusso di risorse adeguato a dare risposte alla crescente domanda di servizi per la non autosufficienza e per l’invecchiamento attivo più in generale, è l’unica prospettiva che potrà consentire di valorizzare la risorsa “anziani” e contrastare l’idea che la LTC possa essere ridotta sempre più a mera erogazione di singole prestazioni e sempre meno a prendersi carico complessivamente della persona. Non tener conto di questa esigenza produrrà nel tempo un triplo danno: insicurezza per l’anziano, impoverimento delle famiglie e indebitamento pubblico.
La principale risposta al crescente bisogno di Cura a Lungo Termine può provenire da una combinazione di risorse agendo su diversi fronti:
facendo del Fondo per la non autosufficienza un volano adeguato, in consistenza e tempi, a costruire une politica per la LTC a 360°. In questo ambito andrà prestata attenzione alla modulazione degli interventi pubblici capace di tenere meglio in considerazione condizioni e possibilità degli utenti, ad esempio con riferimento a indennità di accompagnamento e spese di cura;
sostenendo forme di risparmio che contribuiscano ad affrontare il rischio di futura non autosufficienza, a partire dai fondi assicurativi (individuali e/o collettivi;
sviluppando le opportunità che offrono tanto il welfare contrattuale, quanto quello aziendali;
impegnando risorse delle amministrazioni territoriali per attrezzare il territorio con servizi di prossimità per l domiciliarità, eliminare le diverse forme di barriere, adeguare gli ambienti di vita dei non autosufficienti;
valorizzando le disponibilità economiche degli anziani, sovente dotati di reddito contenuti ma di significativi patrimoni soprattutto casa ed altri beni immobili.