Dall’ultimo numero di Informauser (luglio 2017) proponiamo il racconto della Presidente Mirella Rossi del viaggio in Saharawi lo scorso marzo.
Lo scorso anno abbiamo contribuito per la prima volta come Auser al soggiorno dei bambini saharawi a Lido Adriano. Quest’anno i 12 piccoli ambasciatori di pace, dopo essere stati a Modena per sottoporsi a cure mediche a cui diversamente non avrebbero accesso, torneranno in Romagna dal 13 al 27 agosto e noi saremo lieti di partecipare, insieme alle altre associazioni, a rendere la loro permanenza il più piacevole possibile.
Da sempre conosco il Saharawi e la triste vicenda della sua gente, costretta da un popolo invasore a lasciare la propria terra e vivere da profuga in mezzo al deserto, ma da quando li ho conosciuti personalmente sono aumentate in me la passione e la curiosità. Ecco perché quando Daniela Gatta, referente delle politiche internazionali per il Comune di Ravenna, mi ha proposto di partecipare, dal 4 all’11 marzo di quest’anno, ad una missione in Saharawi, nell’ambito del progetto della Regione Emilia Romagna, mi sono immediatamente attrezzata per trovare il tempo e il modo di partire.
Per tutta la durata del soggiorno io e Daniela siamo state ospiti a casa di un’ostetrica che anni fa aveva fatto formazione proprio all’ospedale di Lugo, nella città di Smara. L’accoglienza è stata meravigliosa.
A Smara abbiamo visitato il dispensario dove abbiamo incontrato le ostetriche, visto la sala parto e appurato con mano quanto la mancanza di tutto non sia riuscita a togliere loro il decoro, la dignità e la capacità di organizzarsi al meglio. È proprio visitando questo luogo che si è fatta strada in me l’idea di realizzare dei kit per i neonati da regalare alle neomamme, che attrezzeremo con beni di prima necessità che là non sono reperibili e anche con manufatti realizzati in loco, come i lenzuolini che potrebbero essere cuciti all’interno della sartoria nata grazie al progetto Nexus Emilia Romagna della CGIL.
Da Smara, insieme a tutta la delegazione, ci siamo mossi per visitare i territori circostanti di Rabouni, El Ayoun, Dakla e incontrare tutte le massime autorità della RASD (Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi).
Molto emozionante è stato il viaggio a Tifariti, dove ci siamo fermati per la notte. Il tragitto per raggiungere la città liberata è durato un giorno intero, nel corso del quale abbiamo attraversato il deserto. Durante il viaggio, quando gli autisti delle jeep hanno trovato un luogo adatto, ci siamo fermati per il pranzo; gli autisti hanno raccolto qualche rametto, allestito un fuoco da campo, e messo a bollire in un pentolino una cipolla, una patata e della carne di cammello (che secondo me si era già cotta durante il viaggio fin lì); dopo un’ora ci hanno consegnato un piatto di alluminio, una fetta del loro buonissimo pane e ognuno si è servito direttamente dal pentolino. Era squisito! Dopo il pranzo abbiamo preso il tè e un’altra ora è stata dedicata a questo bellissimo rito. Spero tanto di poter tornare là e di rifare questo viaggio che mi è rimasto davvero nel cuore. A Tifariti sono un po’ più autonomi, anche qui naturalmente c’è la scuola e poi ci sono i pozzi che danno la possibilità di irrigare, ma anche loro vivono ancora nelle tende.
La storia del popolo saharawi è la storia di un popolo profugo, invaso dal Marocco e confinato a vivere in una lingua di deserto dove non c’è niente, nemmeno un albero. Un popolo che vive di aiuti umanitari, ma che nonostante tutto è stato in grado di adottare un modello organizzativo all’avanguardia, molto simile, se vogliamo, a quello dei paesi nordici, nel quale le priorità sono la sanità e la cultura. Tutti i bambini saharawi vanno a scuola, anche i più piccoli, li vedi partire la mattina presto con il loro zainetto in spalla e questa cosa mi ha affascinata tantissimo, in ogni villaggio ci sono le scuole, anche se si tratta di villaggi di tende con poche case costruite in mezzo alla sabbia.
I problemi principali di queste persone sono la mancanza d’acqua e l’alimentazione. Quasi tutti i bambini soffrono di celiachia, perchè gli aiuti umanitari che arrivano sono troppo scadenti e le farine sono pessime. L’alimentazione si basa prevalentemente su riso e legumi, pochissima carne, solo in occasioni importanti.
Gli aiuti umanitari vengono distribuiti all’inizio di ogni mese e ripartiti, da un’apposita commissione, tenendo conto degli anziani e dei bambini presenti all’interno di ogni famiglia. Non finirò mai di stupirmi per il grado di civiltà di questo popolo, che riesce a mantenere un’organizzazione e una dignità invidiabili in condizioni quasi inumane.
Il Presidente, i ministri, le tantissime delegazioni che abbiamo incontrato, compresa quella delle donne, ci hanno raccontato dell’insostenibilità della loro situazione di profughi e della difficoltà di contenere la rabbia dei più giovani, contro il Marocco e contro chi non prende posizione rispetto ad una causa giusta. Riconoscendo l’utilità dei progetti messi in campo dalla Regione Emilia Romagna e la profonda amicizia che ci unisce, tutti loro ci hanno chiesto un ulteriore impegno, quello di portare la loro storia fuori da lì, dove abitiamo, nel mondo, di raccontare la loro condizione di gente obbligata a vivere in un modo inaccettabile, perchè un altro popolo li ha arbitrariamente condannati per non aver voluto sottomettersi; sono molti quelli che non conoscono la condizione del popolo saharawi, ecco perchè ci hanno chiesto di essere la loro voce, i loro ambasciatori di pace ed è questo che spero di fare anche con questo mio racconto: insinuare una piccola scintilla di curiosità per portare avanti una causa giusta che da troppo tempo attende una soluzione.